PARLANO DI LUI

Vengono riportati i commenti di alcuni dei critici che hanno parlato dello scultore e i ricordi di amici passati. In questa pagina sono raccolti pensieri, ricordi e racconti di coloro che lo hanno conosciuto attraverso le sue opere o personalmente.

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    LA CRITICA

     

     

  • Aniceto Del Massa

    Tratto dalla rivista “Alfabeto” 15-31 dicembre 1961

     

    Fantasia e lirismo, sentimento del reale in quanto forma capace di ricevere i contenuti molteplici dell'espressione sono elementi originari di ogni processo d'arte e, insieme di giudizio concreto. Il giudizio estetico non è che si fermi a criteri generali (decadrebbe nel semplice schema) ma non può prescindere, almeno in un primo momento, dal riconoscere le coordinate più semplici per stabilire un primo rapporto di ricerca. E quando si dice senso, o sentimento, del reale non si allude al realismo o verismo o neo-realismo o ad altra provvisoria definizione adatta a determinate correnti o indirizzi di moda; come quando si dice natura (in rapporto all'arte) non si intende la natura dei naturalisti; e amor della natura, imitazione della natura, va dunque trasferito in altra zona. Non è la natura in sé che interessa l'arte ma la natura in quanto depositaria di leggi creative che provocano la riscoperta del loro modo segreto di essere e di operare. Il rapporto tra scienza ed arte non si può impostare su identici piani: non sarebbe più un rapporto.

    Cose note, indubbiamente ma che occorre ripetere poiché in un certo senso necessitano di riscoperta, ciò si può dire per ogni opera d'arte che si presenta al giudizio, prima ancora di entrare nell'animo a produrvi un'emozione.

    Dovendo scrivere dello, scultore Luigi Scirocchi si potrebbe prender l'avvio da opere sue del più lontano o più recente passato; se preferiamo cominciare dall'ultima, ancora in cantiere, lo si deve un po' al fatto che trattandosi di un altare, nella sua completezza, lo scultore vi si è dovuto impegnare interamente (in ogni opera un artista deve impegnarsi interamente), ubbidendo oltre che all'estro a quelle regole che il tema impone; ed è, spesso, nell'ubbidienza ad un tema che si rivelano doti e qualità, controlli e attitudini che meglio discoprono il suo potere creativo. (Superfluo ricordare come, in particolar modo nell'arte religiosa, temi o soggetti non abbiano mai costituito impedimenti alla libertà dell'artista, ad esempio all' originalità di tante crocifissioni, annunciazioni, natività, cene, ecc.: libertà ed originalità avendo modo di estrinsecarsi nella espressione). Ma poter affrontare un altare e farne opera d'arte ha la sua importanza.

    Nell’altare per il Seminario Vescovile di Foggia l'attenzione è subito attratta dai due angeli che sorreggono il ciborio e il fastigio che lo corona; la composizione appare serrata, compatta e ben legata nei suoi elementi essenziali, esaltata dalla raggiera sulla quale si eleva la croce: tre candelabri ai lati definiscono la verticalità ed agilità dell'insieme dando un senso di sereno raccoglimento: il fregio sotto la mensa rappresenta i simboli della cristianità, mentre nella base è iscritto il pannello con i simboli della passione. Anche nella stesura di questi simboli e nel breve pannello dello sportello del ciborio, lo scultore ha badato essenzialmente a raccordare in un tutto unico i vari motivi decorativi senza sacrificare il senso di ciascun simbolo ma conducendolo con estremo rigore nella partitura armonica e chiara delle strutture.

    I due angeli hanno una forte impostazione e nel movimento la lineare schiettezza scultorea s’intona all'esigenza spaziale dando risalto alle luci che sui piani si alternano variamente; la plastica vigorosa sviluppa partiti chiaroscurali messi in risalto da un sintetismo che non si ferma alla riduzione pura e semplice: i valori spaziali, sono esaltati con effetti che non ripetono schematizzazioni fredde, geometriche: nel movimento quasi simmetrico e proprio per questi contrasti luministici, s'incontrano, invece, i ritmi concreti della realizzazione in una zona che il fastigio del ciborio e la raggiera idealmente circoscrivono.

    Luigi Scirocchi d'altronde non si è improvvisato nel far religioso; se accanto a questi due angeli poniamo quelli della tomba ad Anagni si discopre appunto, l'intimo tessuto in cui la sua plastica si risolve: la ispirazione è raccolta e in questo caso è l'ardito ritmo verticale che conferisce alla composizione la sua propria struttura e il gioco delle tube e delle ali angeliche si risolve nella continuità, aumentando di toni e alternanze spaziali fino quasi a raddoppiare le figure; le linee, i piani nel movimento scultoreo fissano motivi di un'aerea purezza.

    I punti di focalità, che le composizioni dello Scirocchi offrono, sono suggeriti dalla mobilità dei ritmi e i vuoti che nello spazio prendono consistenza geometrica creano suggestive zone di raccordo; anche il vuoto si fa elemento essenziale; non è soltanto in funzione di chiaroscuro, non limita zone di riposo allo sguardo e non interrompe a fini di accentuazione il discorso continuativo delle immagini ma dà a questo colloquio particolari durate. E' possibile, così, di volta in volta gustarne l'efficacia e accoglierne la disinvolta immediatezza. Anche nel bozzetto in memoria dei sommergibilisti il movimento di discesa crea particolari drammatici che si imprimono nella memoria per la risonanza dei ritmi: non si dà movimento senza ritmi e lo Scirocchi ha un suo modo per istituire nel quinteggiato sviluppo dei rapporti tra vuoti e pieni le pause necessarie a riaccendere, poi, più viva la visione e la espressione plastica. E' anche, questo, un modo ben chiaro (cioè conquistato) di trasferire lo stesso linguaggio scultoreo su un piano lirico che non si appaga di convenzioni schematiche: spesso nella scultura moderna si assiste a fatti che si ripetono monotoni e noiosi e si constata che per sfuggire alla retorica dell'antico si accettano i tranelli facili e possibili a tutti della retorica del moderno; anche certa scultura astratta non sfugge a tale, del resto, logica caduta: non sono le forme esteriori che possono elevare la figurazione artistica a livelli poetici.

    Il fregio del Teatro dell'Opera dello Scirocchi si compone di cinque figure, quelle delle muse più interessate alle rappresentazioni che in un teatro d'opera si svolgono; intanto, come fregio ha il merito primo di uscire dai quadri del luogo comune, dai passi, quasi obbligati del decorativismo che di solito simili tematiche impongono. Nel concepire queste cinque figure, nel disporle e comporle, in un armonico insieme suscitando con i movimenti, significati concreti e simboliche tradizionali, lo Scirocchi si è attenuto alla sua maniera semplice, al suo reale procedimento plastico.

    Libero da pregiudizi di scuola e di correnti, persuaso della realtà della materia, ha creato la tipologia più adatta ai contenuti che il suo istinto gli suggerisce; ne sono scaturite cinque figure che un discorso senza arzigogoli retorici, e intellettualistici piacevolmente unisce, fatte vive ognuna nella sua definizione corrente, liberate nella vivacità plastica del ritmo e gesti - non gesticolazioni - scandiscono spazi e misure, pause e riprese. Vorrei insistere sulla coerenza del linguaggio lirico dello Scirocchi che è autodidatta nel senso migliore, senza i vizi mentali prodotti da problematiche fascinose quanto vacue; coerenza che ritroviamo nello sviluppo che egli ha saputo dare alla iniziale vocazione con approfondimenti personali; la sua attenzione al mondo moderno non è, così, di mera superficie e i suoi modi di espressione pur nelle recenti esperienze ove si possono far coincidere notevoli acquisti di una poetica aperta a tutti gli impulsi per la assimilazione di nuovi dati del reale, mantengono il succo, la linfa di una vitalità che non ha subito fratture, deviazioni, storture; dai grandi altorilievi come quello di Torino per « Italia '61», dai progetti per monumenti (lo « sbarco dei mille », monumento ai fratelli Bandiera, a Giordano) alle opere che brevemente abbiamo esaminate, codesta coerenza di misura lirica e stilistica si muove su un proprio piano arditamente, conscia dei valori che affronta in soluzioni che mai risentono del freddo calcolo inteso all'effetto. Scirocchi può con consapevole schiettezza lavorare come lavora ad una composizione suggerita «dal 'intervento della chimica sulle forze vegetative della natura » senza preoccupazioni di far moderno, di procedere per sintesi astratte; s'intende che coerenza non è chiusura in schemi, ma apertura a tutte le possibilità della affermazione stilistica: quando lo stile, naturalmente, è conquista mentale, spirituale oltre che padronanza della materia e signoria sulle forme. Ed è in tale coerenza che Luigi Scirocchi si muove, con quella agilità che sa immettere nelle composizioni complesse e serrate organiche nuove strutture.

     

     

    Tratto dalla rivista “La Sponda“ Anno 13 N°5-8; 1984

     

    Lirismo e fantasia

     

    Fantasia e lirismo, sentimento del reale in quanto forma capace di ricevere i contenuti molteplici dell'espressione: la 'lineare schiettezza, della scultura di Luigi Scirocchi, di forte impostazione, si Intona nel movimento all'esigenza spaziale dando risalto alle luci che sui piani s'alternano variamente; la plastica vigorosa sviluppa chiaroscurali messi in risalto da un sintetismo che non si ferma alla riduzione pura e semplice: i valori spaziali sono esaltati con effetti che non ripetono fredde schematizzazioni.

    I punti, di focalità, delle sue composizioni sono suggeriti dalla mobilità dei ritmi e dei vuoti che nello spazio prendono consistenza geometrica e creano suggestive zone di raccordo; anche il vuoto si fa elemento essenziale; non è soltanto in funzione di chiaroscuro e non interrompe il discorso continuativo delle immagini: dà a questo colloquio particolari durate.

    Non si da movimento senza ritmi e lo Scirocchi ha un suo modo per istituire nel quinteggiato sviluppo dei rapporti tra vuoti e pieni, le pause necessarie a riaccendere l'espressione plastica.

    E' un modo ben chiaro (cioè conquistato) di trasferire lo stesso linguaggio scultoreo su un piano lirico che non si appaga di convezioni schematiche. Libero da pregiudizi di scuola e di correnti, persuaso della realtà della materia, ha creato la tipologia più adatta ai contenuti che il suo istinto gli suggerisce; autodidatta nel senso migliore, senza i vizi mentali prodotti da problematiche fascinose quanto vacue, egli ha saputo mantenere una coerenza di linguaggio lirico nello sviluppo dato con approfondimenti personali alla iniziale vocazione; la sua attenzione al mondo moderno non è così di mera superficie e i suoi modi di espressione pur nelle recenti esperienze, ove si possono far coincidere notevoli acquisti di una poetica aperta a tutti gli impulsi per l'assimilazione di nuovi dati del reale, mantengono il succo, la linfa di una vitalità che non ha subito fratture, deviazioni, storture: codesta coerenza di misura lirica e stilistica si muove arditamente su un proprio piano, in soluzioni che mai risentono del freddo calcolo volto all' effetto.

    Ed è in tale coerenza che Luigi Scirocchi procede con consapevole schiettezza; coerenza che non è chiusura in schemi, ma apertura a tutte, le possibilità dell'affermazione stilistica quando lo stile è conquista mentale e spirituale oltre che padronanza della materia e signoria delle forme.

  • Attilio Battistini

    Tratto dal “Paese Sera” 28-29 novembre 1959

     

    CREATO IN TOSCANA IL FREGIO PER IL TEATRO DELL’OPERA

    Rinascono le Muse in una fonderia di Pistoia

    Lo scultore Scirocchi, che ha vinto il concorso fra 28 concorrenti lotta contro il tempo giacché deve consegnare il gruppo bronzeo prima della fine del mese corrente

     

    PISTOIA, novembre.

    Il ronzio, più, che ronzio quell’indefinibile e inconfondibile rumore, misto di metalliche “voci" e di echi remotissimi, che escono da una fonderia, allaga, la Volta del Pesce e Via degli Anguillara, caratteristiche contrade pistoiesi. E' un ronzio travagliato; che si tratta di una nascita, anzi di una ennesima metamorfosi di cinque delle nove Muse, figlie di Giove e di Mnemosine.

    Nel centro di Pistoia dunque stanno rinascendo Melpomene, Talia, Tersicore, Polinnia, Calliope, gettate in un bronzo chiaro che si patina di riflessi d'oro, quando le luci del tramonto accendono i grandi finestroni dell'officina.

    Da millenni le nove fanciulle nate in Tessaglia, terra di magie, eccitano l'estro e la sensibilità di poeti, scrittori, scultori, pittori: da quando Esiodo le fissò nell'eternità inventandone i nomi e dipanando quella deliziosa favola che tutt'ora agita, come un soffio di vita immortale, il ritmo delle nove sorelle.

    Melpomene, Ta1ia, Tersicore, Polinnia, Calliope rinascono a Pistoia per mano dello scultore Scirocchi che ha testé vinto, su ventotto concorrenti, il concorso per la decorazione della ripristinata facciata dell'Opera di Roma.

    Questa potrebbe essere una nascita comune, invece ha un interesse, particolare perché acquista i caratteri di una vera e propria battaglia contro il tempo. Scirocchi infatti deve ultimare la fusione del grande altorilievo, che misura cinque metri di lunghezza per due e mezzo circa d'altezza, dentro il giorno ventisei del mese prossimo, data stabilita per l'inaugurazione della stagione lirica romana.

    Dalla interpretazione delle linee e dello stile architettonico della facciata è derivata a Scirocchi la sollecitazione iniziale verso un soggetto classicissimo, la cui prima e più antica rappresentazione la troviamo, cinquecento anni a.C. nel famoso cratere di Clizia ed Ergotino conservato nel Museo Archeologico di Firenze.

    La concezione di una scandita e semplice sequenza di figure espresse con moderna, sensibilità plastica, la necessità di sentire gli stessi elementi plastici staccati dalla parete di fondo, in modo da lasciar scorrere liberamente, le linee architettoniche, hanno suggerito all'artista romano di comporre la sua opera e vivificarla nella ariosa ed inalterata chiarezza del fastigio. Le cinque figure, che una volta collocate «in loco » si ergeranno nel centro del timpano e saranno illuminate lateralmente e posteriormente da poderosi riflettori, oltre a rappresentare le cinque Muse di maggior significato che presiedono all' opera lirica, richiamano spontaneamente nel loro raggruppamento la evoluzione storica delle forme drammatiche e musicali.

    Precisamente assommano le forme letterarie della commedia e della tragedia nell'opera lirica moderna, che son state tradotte in bronzo con un linguaggio d'alto livello artistico.

    Ritrovare Scirocchi nella fonderia pistoiese, dopo circa un trentennio di amicizia, fin dai tempi cioè in cui assolvemmo ai nostri obblighi militari, è stata una simpatica sorpresa: se non altro per essere “entrati" nel suo mondo convulso nel quale vive in questi giorni, durante i quali cerca, di rubare frazioni di tempo al tempo, nume implacabile.

    Il primo bozzetto Scirocchi lo compose nel suo studio di Carrara, quello stesso studio di Piazza San Francesco nel quale operò, per lunghi anni Arturo Martini, e subito le crete presero la via di Pistoia, dove l'artista ultimò l'opera rifinendo le cere per la fusione.

    Un gruppo di operai specializzati considerò la fusione come “cosa propria”, come un impegno verso la bravura e l'esperienza propria, come un caso limite, per il quale si potevano sovvertire le ferree regole del necessario tempo materiale a completare l'opera nel metallo.

    Scirocchi che è nato in Roma nel 1909, ed è apprezzatissimo per aver realizzato opere di vasto respiro, quali il pulpito e le due originali e grandi acquasantiere nella Cattedrale di Manilla, il monumentale Cristo nella cappella dell'Auditorium di Via della Conciliazione, l'altorilievo della vita di Teodorico nel frontone di un palazzo di un Istituto in Ravenna, per non citare che i suoi lavori che d'acchito ci vengono alla memoria, vive nei pressi del Porto di Ripetta, e la sua particolare sagoma è notissima negli ambienti della capitale.

    In Roma, che ama con sollecito affetto il figlio, lascia la testimonianza di una vita dedicata all’arte, forse la sua scultura più importante a tutt'oggi, tanto più importante in quanto è stata scelta tra quelle presentate da un gruppo di scultori di chiara firma, da una severa ed autorevolissima giuria. Sembra che sia rifiorita in Pistoia l'Officina di Vulcano, dove lo zoppo artefice, nello scudo d’Achille, raffigurò le divine fanciulle, ed a sera sembrano riflettersi sui muri delle vecchie strade i bagliori di una remota, mitica fucina.

  • Aurelio Prete

    Tratto dalla Rivista “ La Voce delle arti e delle lettere “ Anno III N.11-12 novembre-dicembre 1959

     

    Le Muse di Scirocchi all'Opera di Roma

     

    Il Teatro dell'Opera di Roma se arricchito d'un pregevole bronzo apposto sul fastigio della rinnovata costruzione. L'opera, eseguita dal noto scultore romano Luigi Scirocchi, era stata a questi assegnata in base al superamento del concorso bandito dall'Amministrazione Comunale di Roma. A tale gara avevano concorso i maggiori scultori contemporanei, ma la sintetica soluzione d'un fregio veramente degno di rilievo, è stata presentata unicamente da Scirocchi.

    Trattasi d'un, soggetto classico, eseguito in moderna concezione, soffuso di una sensibilità plastica meramente scultorea, attese le necessità di sentire gli elementi staccati dalla' parete del fondo, onde giovarsi di luci indirette che valgono a stagliare le linee architettoniche, dando risalto alla plasticità della concezione. Essa si presenta attraverso cinque figure abbozzate con vivacità di movimento ed alimentate da un modernismo reso attraverso masse compositive. Trattasi delle cinque muse maggiormente legate alla1irica, da quella drammatica alla tersicorea, Il fregio, dal titolo «le Muse all'Opera», (rilevato dallo stesso motto usato dall'artista per la gara), è veramente degno di questo vecchio teatro Costanzi che ha visto esibirsi ivi le maggiori glorie della. lirica, alla presenza di imperatori, presidenti e personalità d'ogni parte del mondo. E Luigi Scirocchi ha tenuto presente proprio tanta storia e tanto fasto per aver voluto ancorare la sua mirabile composizione ad un classicismo, smussato, però, d'ogni retorica. Scultore scavato e sensibile, l'Artista ben merita d'essere tramandato all'ammirazione dei posteri - oltre che per tanta sua magistrale produzione - per quest' opera significativa e di serio impegno.

     

     

    Da il Popolo di Roma anno IV n° 282 pag 3. 3 dicembre 1953

     

    Un felice interprete dell’arte sacra

     

    Mi è stato dato - in questi giorni, di soffermarmi dinanzi ad alcune sculture e dei bassorilievi di Luigi Scirocchi. In verità conoscevo lo scultore in parola, ed avevo già avuto modo di osservare suoi lavori alla Mostra d'Oltremare di' Napoli ed a quella dell'E-53 di Roma. Vedevo nell'arte di Scirocchi tratti nervosi e convulsi, che denotavano estro spontaneo e mano sciolta, ma non avrei creduto imbattermi in suoi lavori a soggetto sacro.

    Tuttavia, e qui sta l'equilibrio dello Scirocchi, trovatomi a tu per tu con alcune sue opere poste nella cappella che apre sulla destra la via della Conciliazione in Roma, ho riscontrato con soddisfazione, un’alternativa diversa dallo stile abituale dell’artista, una «regola» che, pur facendo restar intensa la sua tecnica personalissima, sa rendere concetti di intenti attraverso un equilibrio scultoreo che s'avvicina a quanto ha fatto d’ogni lavoro artistico un «capolavoro» capace di sfidar i secoli.

    Tra le opere dello Scirocchi nella predetta Cappella, ricordiamo, un Cristo sulla croce che è l'incontro maggiormente da ritenersi «ideale» tra la spontanea stesura voluta dall'artista e la resa del misticissimo soggetto. L'espressione del Cristo morente o morto, è un problema sempre vivo: Michelangelo volle il soggetto giovane, per quello ideale di bellezza fisica che sempre egli cercò realizzare; il genio di Leonardo tentò di rispecchiarvi il suo pensiero, vasto a tal punto da superare quegli estremi filosofici impostisi, prima dei quali, considerava assurdo il concludere e realizzare. Luigi Scirocchi vuole, invece, specchiarvi l'umanità dell'espressione, quella sofferenza di tutti, che ognuno di noi - specie in questo travagliato secolo - ha vissuto. La maschera di un mondo che ha sofferto fino allo sfinimento in attimi così «vicini alla morte », in momenti di reciproca aggressione per la lotta della vita, in periodi tanto prossimi a dolori e degradazioni. La «umanità» del Cristo dello Scirocchi è una fusione lirica di paziente sopportazione, di dolore pungente, di forza vivificatrice, cioè, atta a far superare le stesse torture della croce.

    Nella predetta Chiesa, sull'altare maggiore, resta un'altra opera di Luigi Scirocchi: un bassorilievo in oro ed argento il « Ciborio », in cui 1'Artista ha voluto sintetizzare la Chiesa o Dio stesso, quale Ente supremo sotto il quale son raccolti i fedeli. «Sinite parvulos venire ad me» è tradotto attraverso un pellicano da in cibo le sue carni ai suoi piccini. La simbolica opera mostra quanto l'artista tenga a distinguersi dalle aberrazioni del modernismo a tutti i costi e dall’immobilismo di vecchi schemi per campeggiare in effetti toccanti e convincenti. Ciò rappresenta una «necessità per lo Scirocchi che, in fondo, è un semplice, un leale traduttore di quanto il suo fecondo estro continuamente gli detta.

  • Franco Miele

    Vive e palpitanti le sculture di Luigi Scirocchi

     

    Il complesso dell'opera di Luigi Scirocchi è un raro esempio di « discorsività plastica » che si sviluppa e incentra in un'area di « astrazione figurativa » , in cui i riferimenti oggettivi vengono assunti soltanto come elementi di immagini che si fanno significanti per i valori umano-ideali che in se stesse racchiudono e al contempo sprigionano nella dimensione spaziale.

    La realtà viene per così dire spogliata da ogni aggregato naturalistico e, una volta «scarnificato » nelle strutture compositive, è riproposta alla nostra attenzione nella sua purezza più autentica e di riflesso nella sua essenzialità.

    Non desta quindi meraviglia che le sculture di Scirocchi, in apparenza statiche, nella sostanza « animate » da un'interiore vibrazione, si snodino in una arditezza di modellazione resa per larghi piani e in una sintesi di volumi. L'artista evoca e non descrive, muovendosi di conseguenza sul piano di quell'autonomia stilistica, ove gli interessi formali prendono liberamente il sopravvento sui « fatti » condizionati da esigenze di narrazione o rappresentazione.

    Sollecitato da una fervida fantasia che si disciplina tuttavia in un linguaggio sensibilmente articolato, Luigi Scirocchi mira ad offrirci una sorta di « simbologia di eventi » che riguardano soprattutto il « divenire » del nostro essere nelle cose, in breve la nostra « presa di coscienza » del mondo che ci circonda e di cui siamo in fondo parte integrante.

    In tal senso pensieri, sentimenti, stati d'animo si riflettono e « innervano » la trama del modellato, in un intreccio ritmico di ampie cadenze che rendono quasi impalpabili figure, oggetti o animali che via via l'artista delinea 'sia in singole statue a tutto tondo sia nelle composizioni di gruppo sia nel dispiegamento di pannelli. La materia perde ogni peso fisico, spiritualizzandosi in un clima di accolta tensione.

    Sarebbe qui ozioso e fuori luogo soffermarsi sui lavori più impegnativi che hanno registrato una attiva presenza dell'artista nelle più qualificate rassegne nazionali e internazionali. Come egualmente sembra superfluo elencare i molteplici incarichi che Luigi Scirocchi ha assolto, collocando sue opere, dalle sculture ai bassorilievi, in pubblici edifici, anche attraverso la vincita di numerosi concorsi. Diremo invece che in ogni occasione l'artista non è mai venuto meno ai suoi moduli espressivi, dimostrando un'estrema coerenza anche quando determinate tematiche potevano far scadere l'atto creativo nell'ambito dei facili e più meno suggestivi effetti.

    Un rigore, che oseremmo definire metodologico, ha al contrario sempre sostenuto la sua ricerca che, in una serie di felici invenzioni, via via prendeva quota in forme caratterizzate a volte da un andamento curvilineo, a volte da tagli squadrati, a volte da sinuose angolazioni. Ma in ogni circostanza l'artista evitava sia di contraddirsi sia di chiudersi in compiacimenti di maniera.

    Tra pause e movimenti i « motivi » di Scirocchi risultano di conseguenza vivi e palpitanti, anche quando mirano a riscattare dal passato miti, favole, leggende o addirittura sembrano proiettarsi fuori dal tempo, specie per quei volti attoniti, assorti, di sapore quasi ieratico.

    E' il caso della castigata emotività che affiora dalla « unitaria visione » della Tragedia, della Commedia, della Lirica, delle Musiche agresti e della Danza che in distinte e pur collegate figurazioni campeggiano (o dominano) il frontone della facciata del Teatro dell'Opera di Roma. Si ha la sensazione di un'unica sequenza che in modulazioni differenti l'una dall'altra, ma non indifferenti l'una all'altra, avvolga in una lineare, serrata e perciò armonica modellazione maschere, strumenti e figure vere e proprie.

    Questa sorta di accordo delle parti nel tutto determina un « continuum » di rapporti, per cui anche negli apparenti contrasti sussiste sempre una piena convergenza di linee, punti, figure piane e figure solide in un ordine melodico-contrappuntistico di sapore musicale. La realtà diventa favola e viceversa, come nel gruppo delle « Arti nel bosco del Parnaso » e ne « Il sogno ». ove la natura si trasfigura in forme umane che si innestano in tronchi dall'albero e questi a loro volta in un arioso dispiegarsi di uccelli.

    Per questo nei riguardi di Luigi Scirocchi si è parlato di « astrazione figurativa», per meglio sottolineare l'esigenza che l'artista possiede e sa svelare di superare i limiti territoriali, per farci cogliere pur nel particolare il senso dell'assoluto. E' l'emblematicità che avvolge il lavoro in cera « I fantasmi ». pervasi da una contenuta drammaticità, i ritratti di sapiente fattura, i piccoli o i grandi bronzi, nonché i numerosi gruppi scultorei, rilievi e composizioni di ispirazione sacra o laica inseriti nei più diversi Istituti.

    Occorre infine sottolineare che nella plasticità così asciutta e vitale di Luigi Scirocchi il senso della luce giuoca sempre un ruolo di primo piano, quasi che ci si trovi dinanzi a quella che i pensatori medioevali chiamavano la « fonte primigenia », la radice di ogni cosa, in breve quel «quid» indefinibile che pur consente alla materia di costituirsi. Tra le fontane site nel giardino della stazione di Savona-Mongrifone abbiamo un palpitante esempio di questo intendimento, osservando le numerose figurazioni di Scirocchi che si librano verso il cielo, tra piante esotiche. La luminosità rimbalza tra forme chiuse e aperte, estremamente semplificate in scansioni e successioni che aiutano ad abolire la tradizionale frattura tra « l'essere di noi e l'essere delle cose »: in breve tra l'uomo e la realtà.

    Giustamente l'artista ha definito questa sua complessa fatica « Gli addii » , Ma si tratta di «addii » che implicano presenze spirituali, anche quando tutto sembra allontanarsi dal nostro orizzonte. E' quindi la memoria che attualizza il passato e fa rivivere ciò che sembra morto. Ma questa sorta di incantamento avviene per l'appunto in ragione della « luce » che l'artista riversa nella oscurità fenomenica, operando, secondo l'insegnamento di Plotino, in modo da levigare e raffinare le forme, per renderle pure ed espressive. E Luigi Scirocchi consegue tale risultato, dando un afflato di poesia, e perciò di vita, ad una materia di per sé inerte.

  • Hector

    Nelle modellazioni realizzate in bronzo dallo scultore Luigi Scirocchi è facilmente intuibile la volontà posta dal l'autore, nel momento dell'espressione creativa, di eseguire opere dotate di eleganti caratteristiche estetiche e di un valido valore contenutistico affinché esse siano adatte ad inserirsi nell'ambiente, formando con esso un insieme omogeneo, architettonicamente in armonia con gli altri elementi adiacenti che vi dimorano, e in modo che questi, a loro volta, possano essere valorizzati dalla presenza del manufatto ornamentale aggiunto.

    Per la maggior parte, le opere di Scirocchi, infatti, sono state realizzate per essere col locate ( in base ad un programma precedentemente elaborato) per la sistemazione di un quartiere o di una città in un determinato orizzonte - ed i il discorso ha valore sia che si tratti di un luogo aperto ed ampio, quale una piazza o un giardino, sia che esso abbia un perimetro ben delimitato come quello dalle dimensioni ristrette di un ingresso di una scuola o di una stazione ferroviaria - con il fine di assolvere a precisi usi pratici che, tanto per citare qualche esempio, si concretizzano in fontane, cancelli o frontoni per edifici di rappresentanza.

    Ogni opera è, quindi, attentamente studiata ed a lungo ponderata, poiché, ricercare una soluzione adatta a superare gli ostacoli che inevitabilmente sorgono quando si vogliono risolvere le rigide formule dei problemi ingegneristici e d i natura costruttiva soddisfacendo, nel contempo, anche le esigenze estetiche, costituisce sempre un improbo lavoro, in quanto il senso utilitaristico (governato dalla legge del minimo mezzo), potrebbe costringere l'autore, suo malgrado, ad accettare soluzioni che sono lontane (se non al di fuori) dei rigidi canoni del buon gusto e di una raffinata cultura.

    Scirocchi, invece, con felice intuizione, ha sempre trovato un punto di incontro tra i dettami delle varie regole, in quanto ogni raffigurazione è una sapiente, razionale alternanza di vuoti e di pieni amalgamati in esaltante giuochi di volumi e di luci i quali raggiungono livelli di grande suggestione donando un contributo estetico alla elaborazione tecnica del progetto dell'intero complesso, sottolineando altresì, la ragione del la sua esistenza.

    Ovviamente, l'autore ha dovuto ogni volta adattare il suo linguaggio al'argomento trattato, altrimenti avrebbe corso il rischio di non essere compreso. Forse, questo è il motivo per cui egli, dopo anni di esperienze nella dimensione del più puro figurativo (in cui il contrasto delle masse volumetriche e l'adesione alla realtà oggettiva costituiscono il fine primario dello scultore), ha ridotto la sua espressione a livello minimo di figurazione quasi a sfiorare il mondo dell’informale (e la tecnica del non finito avvalora la sobrietà del nuovo linguaggio) adeguando così, il suo discorso (con il contributo di nuova linfa creativa), alle esigenze dell’ "uomo contemporaneo corroso dalle inquietudini stressanti di una non idonea organizzazione e rattristato da un malinconico senso di oppressiva solitudine poiché obbligato a vivere nei limiti di un’economia permeata di dinamismo e di continua accelerazione.

    Ma al di là delle apparenze e comunque si voglia giudicare l'opera di questo poliedrico artista, è da sottolineare il fatto che ogni lavoro offre a nudo la sua anima sia che si osservino opere permeate da intenso lirismo come quel lo suscitato dalla scena di un immaginario e favoloso racconto descritta nella composizione intitolata "Sogno", sia che si mediti sui fremiti di passione e di fierezza che hanno ispirato un'opera contestataria che l'autore (con senso dissacratore) ha chiamato "I fantasmi".

  • Ugo Moretti

    Articolo tratti dalla rivista “La Sponda“ Anno 13 N°5-8; 1984

     

    La natura artistica di Luigi Scirocchi si manifesta varia e ricca attraverso un'attività poliedrica tutta dedicata alla plastica nelle sue numerose qualificazioni: dal ritratto al fregio, dal monumento allegorico alla medaglia, dall'ornato al complesso architettonico, dal bronzetto alla grande figura. Scirocchi esprime magistralmente nella materia il vasto repertorio di una genialità insita, tesa al servizio di un carattere inquieto, curioso e inappagabile.

    Da trent'anni il suo nome è presente nelle massime manifestazioni a carattere collettivo e appare inciso nel bronzo di una serie di opere monumentali, in Enti pubblici e privati edifici.

  • Valerio Fraschetti

    Tratto Da “Lettere” anno I N° 3; 1946 uno stralcio della sua critica

     

    Espone nel gennaio 1946, alla Galleria San Silvestro, (assieme agli artisti: Alfredo Biagini, Renato Brozzi, Franco Cannilla, Pericle Fazzini, Emilio Greco, Giuseppe Mazzullo, Alessandro Monteleone), tre opere : “I Fantasmi” (cera) ; “Ritratto” (bronzo)” “Uomo al sole” (bronzo) Con interessante riscontro di critica .

     

    Di alto interesse si presenta la scultura di Luigi Scirocchi, che espone tre opere le quali ad un primo esame sembran quasi l'attività di tre artisti, ma che, a ben guardare, appaion legate da un nesso logico e stilistico che unifica i momenti contraddittori di uno stesso spirito inquieto e sensibile. II gruppetto in cera ci sembra opera pienamente raggiunta come espressone di un mondo combusto dal rogo del dramma che abbiamo vissuto. Quasi "liquefatti i protagonisti di questa narrazione plastica, si sono poi solidificati in una colata verticale che ha fermato la realizzazione sculturale in una atmosfera allucinata e spettrale, arrestando nel contempo la dissoluzione dei volti e delle forme impaurite nella propria tragedia. Che è la tragedia dell'uomo di oggi, al quale tanto della vita è stato sottratto anche se non ha avuto la morte. E sembra quasi che dalle occhiaie e da tutti i vuoti che pausano la modellazione esca il rifiatare dei gufi e delle cornacchie.

    Serena invece è la visione plastica del “ Ritratto” e del “Nudo al sole”. Calma ed estesa armonia di piani il primo, estrosa trovata plastica il secondo, vibrante di “colore” costituiscono, si può affermare, ciascuna una diversa faccia del prisma spirituale dello scultore, cui non ci sembra difficile attribuire una personalità forte e sicura, in pieno movimento ascensionale.

  • Articoli di critica sulla decorazione del teatro dell’opera apparsi il giorno dell’inaugurazione del teatro

    Articolo tratto da “il Tempo” pag 7 del 25 dicembre 1959

     

    Le caratteristiche della nuova facciata sono ormai note. Essa tra l’altro aveva bisogno di un fregio. L’affollato concorso indetto dal Comune è stato vinto da un popolare artista romano, Luigi Scirocchi, già autore, fra l’altro, del monumentale Cristo dell’auditorium di Via della Conciliazione in Roma.

    Scirocchi ha sintetizzato l’evoluzione storica della musica e del melodramma nella semplice sequenza di cinque Muse: Melpomene (tragedia), Talia (commedia e poesia satirica), Tersicore (danza), Polimnia (poesia lirica), Calliope (epica). Le cinque statue in bronzo, alte due metri e mezzo, sono state sistemate su una lunghezza di oltre conque metri, al centro del fastigio.

     

     

    Tratto dal Giornale “Concorsi” 1957

     

    La nuova facciata del Teatro dell'Opera di Roma, progettata dal Maestro Piacentini e sulla quale tante discussioni si sono accese in questi ultimi giorni (né sta a noi vagliarne l'opportunità) potrà finalmente giovarsi di un gruppo scultoreo, a decorazione del suo fastigio, che per l'unanimità, di consensi riscossa in sede di commissione e per il plauso apertamente espresso dalle più autorevoli voci dell'arte e della stampa non potrà che attutire le critiche sin qui mosse all'opera dell'architetto Piacentini.

    La scultura, infatti, composta di cinque elementi raffiguranti le muse maggiormente significative: che presiedono all'opera lirica: (tragedia, commedia, mimica, danza e melodia) sebbene non si discosti dal neo-classicismo oggi impresso all'architettura del vecchio “Costanzi”, conserva tutto uno spirito di vitalità e di freschezza che non è facile riscontrare in opere disciplinate dalla rigida metrica dell'arte classica.

    Il lavoro, dello scultore romano Luigi Scirocchi, del quale ebbe recentemente ad occuparsi la stampa estera per i meravigliosi angeli, formanti col loro drappeggio le acquasantiere della risorta Cattedrale di Manila, e per il Cristo sormontante l'altare della Cappella dell'Auditorium in Palazzo Pio in Roma, dovrebbe essere posto a piè d'opera entro la fine di dicembre. Diciamo dovrebbe, poiché una prima chiusura ed una seconda riapertura del concorso ha tardato di circa 60 giorni l'aggiudicazione del medesimo, né pensiamo che un gruppo in bronzo di tali dimensioni (che suggerisce, tra l'altro, particolari effetti scenici basati su nuovi sistemi di illuminazione) possa venir realizzato in così breve tempo. Comunque lasciamo ... ai posteri l'ardua sentenza.

    Ci piace sottolineare come la successiva riapertura del Concorso abbia visto la partecipazione di 28 artisti, contro gli otto che già una prima volta avevano presentato nei termini i loro lavori (e tra questi lo Scirocchi) e come la palma del migliore sia stata assegnata all'unisono al bozzetto contraddistinto dal motto « Le Muse all'Opera» in aperta polemica con quanti paventavano, anche per questo Concorso, una forma di nepotismo basata sulle note pressioni che puntualmente pervengono dalle alte sfere, nonostante il sistema teoricamente imperscrutabile della busta chiusa.

    Il mancato conferimento del premio ad altri che potevano aggiungere ai propri meriti il beneficio di particolari segnalazioni e l'aggiudicazione del concorso all'opera di un artista forte solo del suo estro, pongono in giusta luce l'obiettività e la serena consapevolezza cui è stato ispirato il voto unanime della Giuria.

    L'esito del Concorso porta clamorosamente alla ribalta un artista affermatosi ormai in maniera definitiva, che per la sua. indole modesta è particolarmente caro a pubblico e critici. E' lecito augurarsi che la sapiente distribuzione delle forme e dei toni, l'armonica genialità delle composizione, e soprattutto, la freschezza del suo tratto facciano scuola e diano l'avvio a tutto un nuovo indirizzo, quantomeno estetico, della scultura contemporanea. (E sarebbe ora! N.d.R.)

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    GLI AMICI

     

     

  • Luciana Sessi

    Ueeeeè

     

    Con questo festoso saluto era accolta la mia telefonata a Luigi. In quell’esclamazione c’era tutto lui: sorpresa, gioia, continuità di amicizia, progetti. Ci si vedeva spesso quando abitavamo a Roma, anzi si aveva l’impressione di vederci sempre, meno in quei giorni in cui il lavoro ce lo impediva. Eravamo più che amici, eravamo tanti. Di età diverse, (io ero la più giovane e forse Luigi il meno) con storie diversissime alle spalle, romani, bergamaschi, calabresi, triestina io. Ma legati così bene dal caso, che ci aveva fatto incontrare, così giusti nei sentimenti comuni, abitudini, gusti, voglia di dare e ricevere in tutta semplicità e verità .L’unicità di relazione reciproca , affettiva e intellettuale dei singoli, abbracciava l’intero gruppo. Pur vivendo una vita “normale” con e nel mondo, ci si sentiva completi, appagati solamente fra noi. Una sensazione mai più trovata ma così totalizzante e sufficiente da riempire poi tanti vuoti ! Forse il potenziale artistico, da ognuno posseduto, faceva da catalizzatore, era il minimo comune denominatore, che ci faceva riconoscere e amare .Il gusto del “Bello”,il saper esprimere, sia in modi diversi, l’interiorità, ci identificava più di un DNA famigliare.

    Ci si vedeva solitamente al “Canova”, a piazza del Popolo, verso le diciannove. Uno capitava là, certo di trovar qualche amico col quale passar la serata. Chiusa la giornata lavorativa,avevamo voglia di qualche cosa di appagante. Senza telefonate,senza appuntamenti, affidandoci all’imprevisto. Il numero e le varie personalità degli arrivati decideva la riuscita, il divertimento della serata. Solitamente veniva proposta una cenetta a Trastevere. Un localino all’aperto, se era estate,ove si mangiava su rozzi tavoloni in qualche piazzetta che sembrava una scena da teatro dialettale, dove le portate erano abbondanti e caserecce, dove ho conosciuto la “pagliata” e le”hoppie”. Talvolta fuori Roma a mangiar il pesce dove lo si pescava. O si finiva “a studio”, “a fiume”, cioè allo studio di Scirocchi, in via del Fiume. Là, tra bozzetti e cere, ci accontentavamo di una cena improvvisata e offerta da Ninì, padrona di casa, o racimolata da noi e condita da tanta allegria, battute, scherzi e vero piacere di stare insieme. Talvolta ballavamo anche, (era di moda il Twist e le giovani signore vi si cimentavano e molto bene, mentre i mariti, maliziosi, si godevano lo spettacolo… da dietro commentando). Era sempre molto tardi, notte, quando si rincasava. Ma pericoli non ce n’erano e, persino io che ero spesso sola, non avevo paura di girare sola in macchina. Qualche volta, per gentilezza, gli amici mi scortavano, ma non ce n’era bisogno. Questi incontri si ripetevano almeno due volte la settimana e di domenica molto spesso facevamo una gita in macchina, talvolta anche con tutti i nostri bimbi, che erano numerosi: una domenica ne ho contati 17 ! Ho conosciuto così le più belle località vicine a Roma, i Castelli, naturalmente. Frascati e il suo ingannevole vino, Villa Adriana, Monte Cavo, Castel Gandolfo e il laghetto di Nemi (con le sue fragole di bosco) e quel paesino, forse Santa Maria in Galeria. Era un paese morto, abbandonato dai tempi della peste, dove la vegetazione aveva preso il posto degli esseri umani e lo abitava.

     

    Luigi aveva conservato la semplicità d’un bambino, la freschezza del pensiero e non si meravigliava del mio entusiasmo nello scoprire cose nuove. Anche “a studio”, quando andavo a curiosare e, (mi piaceva dire aiutare!) lui, con pazienza, mi illustrava la vita delle sue opere, dal principio alla realizzazione. Mi davo da fare con la creta, nelle cose primarie, mi prestavo come modella, per qualche testina d’angelo, qualche ricciolo, la posizione delle mani, e ne ero fiera! E parlavamo, parlavamo per ore. La mia ammirazione per la sua arte era autentica e lui si compiaceva dell’aver saputo trasmettere ciò che era così sentito nell’animo, con la materia. Non gli importava la notorietà, non voleva seguire mode o scuole, non ne vedeva la necessità. Luigi Scirocchi non ne aveva bisogno. Era la materia che cercava lui per nascere! Ricordo il suo gesto: il lento passare delle mani sugli oggetti, quasi a volerne trarre l’anima. Ho la strana abitudine anch’io, di far la conoscenza con la forma ,con il tatto. Passando davanti alla Madonnina, scolpita sul muro di Calle della Pietà, vicino alla mia casa di Venezia, non potevo fare a meno di toccarla, quasi una carezza, che me ne faceva gustare la dolce bellezza.

    A Venezia abbiamo camminato tanto, in cerca di un vecchio torchio, di vetrai, di vecchie cose che conservavano il profumo del tempo passato, entusiasti di tutto, interessati a tutto.

    Quando ritornavo io invece a Roma, Luigi mi faceva visitare tutte le mostre, aperte in quel periodo. Poi mi portava a mangiare l’abbacchio a Trastevere. A Studio a vedere le nuove opere sue, i suoi progetti, le idee nuove per le vetrate che pensava di realizzare. Quanto ho rimpianto il mio caro amico, il suo animo generoso, la delicatezza dei suoi sentimenti, l’autenticità del suo essere! Grande artista e grande uomo. I suoi occhi, le sue mani non si possono scordare. Sono grata a Aug che sta realizzando quello che ho sempre pensato il mondo dell’arte gli dovesse!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

lo scultore nello studio

di via Anicia

 

 

 

 

 

 

 

Lola il cane dello scultore

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo scultore e sua moglie ricevono nelo studio di Via del Fiume

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo scultore con la sua opera

per la stazione di Savona-Mongrifone

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo scultore a una

premiazione

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo scultore davanti al

cancello del carcere

giudiziario di Foggia

Luigi Scirocchi

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