...Nel lavoro obbedisco ad una carica emotiva, che conduce la materia plastica verso l’equilibrio compositivo dei volumi. Il primo impulso sgorga da una suggestione drammatica che coinvolge la mia personalità ma che ad essa non si limita. La mia attenzione ai problemi attuali della cultura e dell’arte si manifesta nella necessità di nuove esperienze e conquiste di assoluta coerenza sia al linguaggio lirico che mi è proprio, sia al continuo rinnovarsi in me della realtà storica e sociale a cui partecipo.

 

Luigi Scirocchi

 

 

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    LA VITA

     

     

    Luigi Scirocchi, importante scultore del novecento, ha vissuto e lavorato a Roma. Ha partecipato, a innumerevoli manifestazioni artistiche, Quadriennali e Mostre Nazionali, ha ottenuto numerosi premi ed ha eseguito opere pubbliche vincendo concorsi nazionali. È validamente presente con le sue sculture in varie città d'Italia: a Torino, Savona, Albissola, Ravenna, Roma, Bari, Foggia, Trani, Potenza, Reggio Calabria ecc.; opere tutte monumentali, per lo più figurative, di vasta concezione emblematica, realizzate in travertino, in marmo, bronzo, ceramica, ferro e metallo. Ha opere d'arte sacra in Italia: a Roma,  Anagni, Foggia, Potenza, ecc. e all'estero nella Cattedrale di Manila Filippine. Ha eseguito  tombe monumentali, grandi figurazioni a tutto tondo, ad altorilievo e bassorilievo, Vie Crucis, elementi scultorei in chiese e cappelle, ecc. Ha numerose opere presso Enti, Società, Collezionisti.

     

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    Chiamato dagli amici Gino, è un “Romano de Roma” nasce infatti il 21 agosto 1905 a Roma da una famiglia romana da più generazioni. Nell’adolescenza segue il padre, impresario teatrale di opere liriche; tale professione comportava allora oltre le capacità amministrative e organizzative, quelle artistiche di regista; lo segue attraverso le vicende alterne delle “stagioni” nei più disparati teatri d’Italia. Gli elementi essenziali della sua formazione artistica gli verranno da quel quotidiano assistere al realizzarsi della musica nella visione scenica del melodramma.

    Per un rapporto comprensivo col suo temperamento d’artista, il sentimento lirico troverà in lui la soluzione nei valori visuali e costruttivi del volume. Nella prima giovinezza 1920-22 frequenta a Roma gruppi di artisti d’avanguardia futurista, in deciso contrasto con l’ambiente borghese che lo circonda ed equilibra in sé il gusto ortodosso che gli viene dal repertorio melodrammatico, con le nuove sollecitazioni rivoluzionarie dell’arte. Elaborata e spezzata da ventate di eventi è la sua evoluzione estetica in quegli anni.

     

    Nel 1925 è a Tripoli e quindi in Tunisia in procinto di partire alla ventura per l’oriente alla ricerca della propria identità. Ma nel 1930 è di nuovo a Roma, affascinato dal miraggio paterno di un teatro per il popolo. La grande forza realizzatrice del padre che si afferma procedendo da solo, senza aiuti, si rifletterà sulla tenacia delle sue decisioni. Autodidatta tra contrasti e difficoltà si avvia a una chiarezza interiore sempre maggiore, creando e distruggendo tra manifestazioni inattese e contraddittorie, prova della sua insoddisfatta creatività.

    La violenta necessità di espressione lo porta ben presto a scelte diverse dalle lusinghiere possibilità impiegatizie che gli sono offerte. Sente la necessità di costruire su una chiarificazione netta e su una seria esperienza di base ricominciando da capo tutta la propria preparazione culturale. Gli inizi sono duri. Frequenta la scuola del nudo. Disegna e lavora moltissimo. S’iscrive infine alla scuola della medaglia. Per la sua formazione artistica ha molta importanza il periodo trascorso a Parigi in continue ricerche di approfondimenti personali.

    Seguono al suo ritorno a Roma le prime partecipazioni alle varie mostre nazionali, sindacali, ecc.

    Nel 1939 si presenta un’occasione che mette a fuoco le sue possibilità e che gli consente di comporre lo slancio espressivo della sua fantasia in quell’equilibrio di forme che è segno primo dell’opera d’arte. Sono 14 mq di bassorilievo granitico all’aperto per la mostra “d’Oltremare”. E’ il fascinoso racconto dei viaggi di Marco Polo; ove il pericolo del racconto illustrativo è evitato con una schematica primitiva d’immagini essenziali. Per eseguire tale lavoro adatta a studio delle ex stalle in un palazzo dei Principi Borghese in via del Fiume nel centro di Roma, dove continuerà a lavorare fino al 1965.

    Seguono gli anni della guerra:1940-1945.

    Sposa Maria Bianca Borghetti, chiamata affettuosamente “Ninì”, scrittrice, poetessa, donna di lettere che sarà il punto di riferimento di tutta la sua vita e dalla quale ha un figlio. (Una raccolta di poesie dal titolo "L'Arco dei giorni" è stato pubblicato nel 1988 dalla C.E.S.I.)

    La vita è difficile - Resistere è duro. Sfugge per miracolo alla deportazione in Germania. Alcuni suoi amici muoiono alle Fosse Ardeatine. Tra sacrifici e difficoltà lavora a piccoli bronzetti, (espone alla mostra di Milano 1941 “testa di ragazzo”), esegue ritratti scavando acute indagini di caratteri nella ricerca dell’espressione essenziale non disgiunta dalla sostanziale forma costruttiva “Il chirurgo “ 1942.

    Partecipa con lusinghiero risultato alla mostra del bronzetto- Premio Donatello (Firenze 1942) con due bronzetti di valida composizione ed estrosa ispirazione, entrambi acquistati.

    Il periodo tormentato della guerra si identifica nell’opera “I fantasmi” 1946, esperienza amara dello sfacimento dei valori ideali, resa dai personaggi tragici e grotteschi che sembra, vogliano sostenere i paludamenti inveterati del decoro, contro il disfacimento della carne.

    Partecipa nel 1942 alla IV Quadriennale di Roma Con un San Giovanni Battista.

    La fine della guerra non apporta alcun immediato mutamento alle pesanti condizioni economiche. Deve pertanto lasciare l’appartamento in affitto nel quartiere Prati e adattare ad abitazione parte dello studio di Via del Fiume e trasferirvisi con la famiglia. I lavori di adattamento con palchettoni, scale e tendaggi portano alla realizzazione di una suggestiva scenografia teatrale non priva di fascino, ma con poche comodità. La “casa” è fredda, buia, umida, (con delle stufette elettriche si asciugano le umide lenzuola prima di andare a letto), nello studio c’è solo una stufa a legna, un luminoso lucernario dal quale, quando piove, entra l’acqua raccolta poi da un chiusino al centro del locale.

    La prima grande opera pubblica, che prelude a quelle degli anni venienti, è un altorilievo “Il Lavoro” del 1945 per l’INAIL di Torino, composto di due steli e scolpito in travertino. L’opera iniziata qualche anno prima era stata interrotta e sepolta nel terriccio per salvarla dai bombardamenti; la scultura si equilibra in figurazioni scarne di sapore quasi arcaico lontane dal gusto plateale dell’arte fascista.

    Con la ripresa lavorativa che segue la guerra, entra nel novero degli artisti che operano attivamente e professionalmente a Roma. Lo studio è sempre pieno di artisti e amici.

    Alla mostra della Galleria di Roma espone nel 1946 “L’uomo al sole” che ottiene interessamento della critica e viene acquistato dalla Galleria del Quirinale. Nel 1948 partecipa alla Prima Quadriennale del dopoguerra a Valle Giulia con una scultura (al vero) in cera “La sete” nella quale tale materia appare il mezzo necessario e idoneo per esprimere la tensione e il dinamismo insiti nel soggetto. Con quest’opera l’artista dimostra da un lato il possesso pieno della figura dall’altro evidenzia nello scatto del movimento uno dei caratteri più notevoli delle sue opere; (l’opera fa parte di una collezione privata). Nell’anno successivo (1949) gli viene affidata in Roma la decorazione della Cappella dell’Auditorium (Palazzo Pio XII) in Via della Conciliazione (Cristo in bronzo al vero e Ciborio); nonché l’esecuzione dei due grandi stemmi sui frontoni dei due palazzi prospicienti su Piazza Pia.

    In questo periodo nello studio del ritratto raggiunge con vigoria l’essenziale, dimostrando una sostanziale forza espressiva

    Il tema dell’arte sacra viene affrontato a più riprese e l’incontro di maggiore importanza è quello con il Cristo Crocifisso. Qui il lirismo o verismo potrebbero trascinare per opposte false strade se l’equilibrio estetico non intervenisse da sapiente moderatore come in queste opere. Ed è così che sacralità e umanità vengono risolte nell’esecuzione del Crocifisso per il Museo d’arte sacra- La Cittadella – Assisi.

    Sempre in questo periodo la ricerca continua e inappagata lo porta a tentativi nuovi con nuove materie: il legno con l’opera “il Caino” (1955) e la ceramica con un bozzetto in altorilievo monocromo “la crocifissione” (1956).

    Inizia a dipingere dal vero. Sono schizzi a chine colorate di scorci della città di Roma ed altri paesaggi, notevoli per la semplicità del tratto e freschezza delle tinte. Questa passione, per il disegno e per la pittura, sarà mantenuta per tutta la vita. Le opere fanno parte di collezioni private.

    Dopo un Concorso Nazionale per il Monumento a Umberto Giordano a Foggia (1956) (bozzetto segnalato per l’originale concetto strutturale e funzionale del podio e delle quinte) si fa di nuovo presente il tema dell’arte sacra: si apre all’artista la possibilità di operare all’estero per la ricostruita cattedrale di Manila nelle Filippine con due angeli acquasantiere, ideati con rispondente analogia di movimenti e con libera immaginativa, mentre posano il volo ai lati del portale sorreggendo nel seno del velo, l’acqua benedetta. L’opera riscuote alto interesse di critica e viene riprodotta da decine di giornali cattolici (1958).

    E’ ancora arte sacra nel 1959-60 gli “Angeli Musicanti” per la tomba gentilizia Diurni ad Anagni. Con quest’opera l’artista puntualizza decisamente il proprio discorso di cui si riscontreranno gli elementi continuativi nelle opere successive.

    Nel 1959 un altro lavoro monumentale per la sede dell’IMPS a Ravenna con il bassorilievo in marmo “ Mito e lavoro” ove la visione sognata della Ravenna bizantina svanisce nel fondo, di contro agli emergenti volumi delle strutture moderne del lavoro.

    E poi ancora il tema sacro degli angeli con il Tabernacolo, Paliotto e Via Crucis per il Seminario Vescovile di Foggia. Contemporaneamente Angeli (tutto tondo) e deposizione (bassorilievo) per la tomba gentilizia Urcioli a Potenza.

    Ma già nell’anno precedente (1959) ha vinto il primo premio del concorso nazionale per la decorazione del fastigio del Teatro dell’Opera di Roma, che esegue nel 1960, proponendo a decorazione del frontale le cinque Muse. Il tema classico è risolto con inventiva e penetrazione estrosa. Le figure, di fattura ferrigna, per sintesi espressiva sono percorse da un’armonia di rapporti volumetrici e spaziali che le unisce attraverso l’unica vibrazione lirica. La partecipazione a concorsi nazionali e i premi vinti si susseguono dopo il 1960.

    Va notato il concorso per il monumento ai Fratelli Bandiera da erigersi a Cosenza (1961).

    Dal bozzetto d’insieme emerge il valore dato allo spazio ambientale, nel quale vivono le sculture dei martiri. Questo rapporto architettonico con l’ambiente esterno è presente in tutto il filone delle opere pubbliche ubicate all’aperto affinché, lo spazio che dilata attorno, divenga vitale per la scultura stessa. Dato il numero considerevole delle opere successive, occorre soffermarsi principalmente su quelle di particolare rilievo come (nel 1963) la fontana “Le arti nel Bosco del Parnaso” (Piazzale dell’Albergo Hilton in Roma) per il particolare ritmo che acquistano le cinque figure con il loro configurarsi nell’irreale tra lo scorrere fisso delle nuvole e la mobilità chiaroscurale del fogliame il cui movimento, sfalsato su due piani, aumenta i toni delle alternanze spaziali.

    Nel 1965 lascia lo studio di via del Fiume si trasferisce con la famiglia in un moderno appartamento in Via Flaminia vecchia che adibisce provvisoriamente anche a studio. Negli anni seguenti trasferisce lo studio in via Anicia in Trastevere.

    Nel 1967 partecipa ad un concorso nazionale (Ospedale S. Camillo in Roma) con una Via Crucis di particolare interesse sia per la soluzione continuativa che abolisce il frazionamento episodico delle così dette “Stazioni” sia per la tragicità dell’evento reso particolarmente crudo e violento dalla presenza di grotteschi spettatori che accentuano la drammaticità dell’opera, aggiungendo tensione e inquietudine come in un dramma del nostro tempo.

    Negli anni successivi, per la continua tensione e inquietudine del periodo, approda a diverse soluzioni formali raggiunte con mezzi espressivi disparati, senza pertanto dar luogo a discontinuità creative. L’apertura sofferta verso i nuovi problemi sociali del periodo si conclude con una più radicata e profonda coerenza interiore che sempre rivela schiettezza dell’ispirazione e aderenza al tema emotivo. Così i mezzi e le forme espressive più diverse divengono volta a volta inderogabile necessità. In questo periodo (1972), realizza la grande ceramica per la facciata della Stazione di Albissola, dove il gioco dell’acqua smaterializza i corpi in bianche forme fluttuanti; i cancelli per i complessi carcerari di Trani e Foggia (1968) nei quali le sbarre, le piastre, i vuoti scanditi o limitati a pertugi, il peso dei volumi hanno ciascuno un significato legato alla funzione ed alla necessità vitale dell’opera. Una scultura da giardino per l’ospedale “Di Venere” a Bari, 1968 di concezione compositiva che mantiene la componente decorativa in stretto rapporto col contesto ambientale. Le due fontane per la stazione di Savona “ gli arrivi e le partenze” (1970) qui il figurativo lascia insolute le forme umane cosi che l’evocazione fuggevole rende la folla anonima che disfa la propria identità nel via vai del traffico. In queste ultime opere, pur differenti per tecniche e materiali, assommano i caratteri della sua personalità artistica: l’ampia dinamica del tema, il ritmo compositivo, il gusto equilibrato, il ponderato afflato lirico, la fresca inventiva che non tenta stupire ma vuole superare i luoghi comuni per realizzare l’opera.

    Nel 1965 realizza il Monumentale Cristo Docente (altezza metri cinque) sulla facciata dei Salesiani in Roma.

    Negli anni 70 modella diversi piccoli bronzi che espone in numerose gallerie (XII quadriennale Torino 1974, Galleria la Pigna Roma 1975, Mostra sindacale Napoli 1975, ecc.).

    Dal 1975 frequenta i corsi internazionali di incisione di Urbino ed inizia un’importante attività di ricerca e di studio delle tecniche di litografia, serigrafia, punta secca, acqua forte. Acquista un torchio e realizza numerose prove d’autore numerate. Sono opere grafiche forti, dal tratto netto, tagliato, che prorompono come sculture dai fogli di stampa ed esprimono anch’esse la personalità artistica dello scultore.

    Del 1978 è l’ultimo grande lavoro, la tomba monumentale della famiglia Cova dedicata all’Ingegner Cova progettista dell’Autostrada del Sole. L’opera è una composizione di lastre di bronzo con in bassorilievo le principali città italiane unite dalle grandiose strutture d’ingegneria dell’autostrada, mentre su una lastra più grande figura a tutto tondo un Cristo Crocefisso, simbolo di unione e speranza nella fede.

    I numerosi riconoscimenti della sua opera ricevuti negli ultimi anni di vita hanno voluto sottolineare la sua lunga e indefessa attività svolta con assoluta noncuranza del tornaconto e dell’arrivismo.

    Luigi Scirocchi Muore il 20.11.1989 a Roma nella sua abitazione, all’età di 84 anni, dopo una lunga malattia invalidante.

     

     

     

    Il Comune di Roma gli ha dedicato una strada in un nuovo quartiere della città.

     

     

     

 

 

 

 

 

 

 

Lo scultore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo scultore col suo cane Pop

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo scultore con amici nello studio di via Anicia

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo scultore con la moglie e amici in una trattoria romana

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo scultore con

un'alieva nello studio

di via del Fiume

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo scultore

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    LA SUA ARTE

     

     

    Ritengo che la validità di un’opera d’arte derivi dalla carica emozionale che presiede all’atto creativo. Il processo plastico che segue in me al turbamento altissimo della concezione iniziale, si svolge su una linea di tensione volta a raggiungere e a realizzare i valori poetici racchiusi nell’ideazione. Nell’ansia dell’equilibrio compositivo, nella ricerca plastica, nella dinamica dei volumi, nell’aderenza dell’immagine, si realizza l’opera, col miraggio di trasferire, nell’impeto che travalica la creazione, la verità individuale dell’artista in quella appartenente all’ordine universale.

     

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    Quando lavoro obbedisco ad una carica emotiva che conduce la materia plastica verso l’equilibrio compositivo dei volumi. Posso dire che il primo impulso sgorga da una suggestione drammatica il cui contenuto viene sollevato dalla tensione intellettiva in una speculazione di valori e rapporti plastici. La mia attenzione ai problemi attuali della cultura e dell’arte si manifesta nella necessità di nuove esperienze e conquiste di assoluta coerenza sia al linguaggio lirico che mi è proprio sia al continuo rinnovarsi in me della realtà storica e sociale a cui partecipo.

     

    Vivo i sempre rinnovati problemi della cultura e dell’arte. Dalla lotta dei processi d’indagine si genera la tensione di evadere dalle costrizioni per trasmutare le mie realtà individuali in sempre nuove conquiste appartenenti all’ordine universale.

     

    Vi sono artisti d’avanguardia che operano con sincerità e li sento vicinissimi – ma in gran parte la così detta arte di animazione si serve di mezzi ruffianeschi per un basso arrivismo; talvolta possono essere divertenti o piacevoli ma non hanno nulla a che vedere con l’Arte:

     

    Sono alieno, per carattere, dal parlar molto, quindi so dir poco della mia arte: il personale processo creativo ha delicatezze insondabili e intraducibili; pertanto ritengo presuntuoso voler definire –etichettare- per cercare una formula da cui trarre slogan di pubblicità.

     

    Per me ha valore ciò che si fa non ciò che si dice di fare.

     

    Sento la necessità architettonica di costruire e disfare le figure secondo una sintesi compositiva che dia valore ai volumi ed alla loro posizione reciproca; che in altri termini nel lavorare obbedisco al ritmo di un’armonia costruttiva che conduce la materia plastica secondo una necessità di equilibri.

     

    Posso dire che il primo impulso creativo sgorga in me da una suggestione umana e poetica, ma che poi l’emozione intellettuale ne solleva il contenuto poetico in una superiore speculazione di valori plastici e di rapporti.

     

    Sono portato alla grande impresa plastica anche per il mio temperamento combattivo che è stimolato dalle difficoltà e dal cimento da qui la mia partecipazione ai concorsi anche in tempi di lupi!

     

    Nella narrazione plastica, forse in rapporto al mio carattere poco verboso, non amo la prolissità del racconto e cerco di stringere in sintesi gli elementi essenziali.

     

    Affronto volentieri il tema sacro. Sento che si può fare dell’arte rifacendosi allo spirito delle Sacre Scritture ancora cariche di insoluto, di inespresso, di primigenio, che offrono alla nostra moderna sensibilità interpretativa le parole misteriose della Rivelazione. Penso su questo argomento che l’artista, nel momento presente, può essere felicemente portato a nuove espressioni di Arte Sacra, data la sua nuova posizione di fronte a tale tema. Come uomo moderno sono incline a cogliere un nuovo senso cosmico del mistero Divino e Umano e come artista tendo a chiarificare e a dar forma e realtà artistica sensibile alle richieste umane di un’aderenza nuova alle antiche parole della Chiesa troppo sfruttate in maniera ortodossa.

     

    E’ una triste prerogativa della critica quella di voler catalogare, definire, etichettare gli artisti in astratti e figurativi; per quanto mi riguarda, siano le mie opere figurative o astratte, nel senso lato delle due parole, ciò che invece ha valore è l’unicità di carattere di tutta la mia produzione che si ravvisa nei rapporti volumetrici che danno alle mie opere un ritmo compositivo nel quale il suono dominante è sempre il rapporto dei volumi, degli spazi, dei vuoti e dei pieni.

     

    Ritengo che la validità di un’opera d’arte derivi dalla carica emozionale che presiede all’atto creativo. Il processo plastico che segue in me al turbamento altissimo della concezione iniziale, si svolge su una linea di tensione volta a raggiungere e a realizzare i valori poetici racchiusi nell’ideazione. Nell’ansia dell’equilibrio compositivo, nella ricerca plastica, nella dinamica dei volumi, nell’aderenza dell’immagine, si realizza l’opera, col miraggio di trasferire, nell’impeto che travalica la creazione, la verità individuale dell’artista in quella appartenente all’ordine universale.

     

    Ritengo che la validità dell’opera d’arte sia nella sua attiva comunicabilità e quindi nella possibilità di trasferire la sincerità emotiva del mondo individuale dell’artista in verità appartenenti all’ordine universale.

PARLANO DI LUI

Aniceto Del Massa, Attilio Battistini, Aurelio Prete, Franco Miele, e altri.

Il ricordo dell'artista continua a vivere nei racconti di coloro che gli sono stati affianco in vita.

 

 

Luigi Scirocchi

a.scirocchi@libero.it

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