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Roma 1949
MOTIVI DI SCULTURA CONTEMPORANEA - ATTUALITA’ DELL’ARTE SACRA
Da che v'è scultura o, in concetto più largo, arte, possiamo affermare con sicurezza che questa è stata sempre, in ogni tempo ed in ogni luogo, posta al servizio del culto alla divinità. Sin dai tempi pagani, infatti, Poseidone o Era, Giove o Minerva. e così via discorrendo, trovarono negli artisti veri riproduttori di loro atteggiamenti, simboli, potestà.
Dai preziosi cimeli del Museo Archeologico di Paestum, riscontriamo come sin dai primissimi secoli (dei quali si hanno tracce materiali), gli artisti si siano svagati riportando divinità del bene o del male, a seconda dei culti e delle credenze. La scoperta del tempio di Hera, dea delle messi, della maternità, ecc., ha dato la possibilità di rintracciare centinaia di statuette votive che le donne d'allora (520-550 a.C.) usavano offrire alla divinità quali "ex voto". In esse la mano dell'artista s'è sbizzarrita e, notiamo, ha portato in ogni "pezzo" la propria personalità. V'erano sin da allora - incredibile, forse - veristi, impressionisti, fors'anco astrattisti. Non stupiamoci di ciò, poiché è soltanto la nostra presunzione a farci ritener - attraverso il nostro egocentrismo - i primi iniziatori di tendenze e di tecniche. Basti ricordare che la stessa moda che ha lanciato da qualche anno il "bikini” non ha fatto altro che ripetere quanto trovato in Sicilia riprodotto su di un vaso di argilla di oltre duemilacinquecento anni or sono.
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Di questo passo, potremmo seguitar per volumi, ma le ovvie e molteplici ragioni tendono, invece, a portarci sul pratico terreno della nostra conversazione. Il dato accertato, quindi, è che il soggetto (specie quell'o sacro) è sempre nuovo, pur ripetendosi nella essenza degli intenti dell'artista, differenziandosi, invece, nella tecnica esecutiva che è, poi, in definitiva, l'unico metro per la misura intrinseca del valore dell'arte in ogni sua manifestazione.
Dai tempi cristiani, ad esempio, l'immagine del Cristo vien ripetuta milioni di volte, eppur noi siamo portati a ricordare i Cristi dei grandi in arte, di Raffaello, di Leonardo, di Michelangelo, quelli verdastri del Reni come del Mantegna, quelli vigorosi di Michelangelo Merisi da Caravaggio. In scultura, d'altro canto, rimembriamo la plasticità di alcuni autori, la morbidezza di altri, l'incisività di terzi, ecc.
Sciorinando tendenze e tecniche, giungiamo sino ai nostri giorni, per doverci soffermare su quest’arte moderna ancor tanto discussa. E, non sembri ozioso, teniamo porre in disamina i valori spirituali di alcuni tra gli artisti contemporanei, tenendo presente le loro opere, scrutando le stesse, onde poter accertare e stabilire la rispondenza delle stesse nei confronti dell'intento creativo dell'autore.
Mi è stato dato - in questi giorni - pertanto, di soffermarmi dinanzi ad alcune sculture e dei bassorilievi di Luigi Scirocchi. In verità conoscevo lo scultore in parola, ed avevo già avuto modo di osservare suoi lavori alla Mostra d'Oltremare di' Napoli ed a quella dell'E-53 di Roma. Vedevo nell'arte di Scirocchi tratti nervosi e convulsi, che denotavano estro spontaneo e mano sciolta, ma non avrei creduto imbattermi in suoi lavori a soggetto sacro, non sentendo - dal mio canto - la opportunità di tradurre - in maniera moderna - quanto per secoli è stato riportato attraverso un verismo non già ottocentesco, bensì universale, diremo, in ogni tempo. Gli esperimenti di alcune chiese (specie qui in Roma) architettonicamente costruite secondo concetti modernissimi, ed arricchite di altari, icone, bassorilievi ecc. anch'essi di contemporanea fattura, aveva trovato nel mio spirito una ostilità giustificata dal fatto che io - attraverso Vie Crucis, immagini e riproduzioni varie in bronzo, legno come marmo - m'ero assai veementemente scagliato contro tale «arte» che non giudicavo idonea a dare quella pace dello spirito necessaria nel tempio di Dio, in quell'oasi di misticismo pregna di echi classicheggianti, di emozioni ripetute, attraverso canovacci severamente similari. Non che avessi dei soggetti sacri una idea standardizzata: poiché, in tal caso, escluderei il concetto di ”arte” negli stessi, ma perché penso che il riscontrar alcuni canoni e dati basilari (senza peraltro limitare la personalità dell'artista attraverso una libertà d'esecuzione) avesse costituito la piattaforma necessaria per quel raccoglimento tutto proprio dei sacri luoghi. In fondo, mi dicevo, è materialmente impossibile «raccogliersi» nell'osservazione, di mostriciattoli lignei come marmorei o di bronzo, riproducenti, magari, ciò che l'artista vedrebbe d'un S. Francesco. Non si dimentichi che se l'arte estrosa dovrebbe avere (ammesso e non concesso) il pregio d'essere interpretata da alcuni eletti e, quindi, sarebbe una «arte per pochi", l'arte sacra posta nelle chiese non «dovrebbe» ma «deve» essere alla portata dei più, di tutti, per esser precisi. Ma, e qui sta l'equilibrio dello Scirocchi, trovatomi a tu per tu con alcune sue opere poste nella cappella che apre sulla destra la via della Conciliazione, ho riscontrato - con soddisfazione - una alternativa diversa dallo stile abituale dell’artista, una «regola» che, pur facendo restar intensa la sua tecnica personalissima, sa rendere concetti ed intenti attraverso un equilibrio scultoreo che s'avvicina a quanto ha fatto di ogni lavoro artistico un «capolavoro» capace di sfidar i secoli.
Questo, ripeto, per nulla a scapito di quel1a personalità che balza viva dai lavori di Luigi Scirocchi.
In fondo tutti ci facciamo il nostro mondo in maniera «personale », artisti e non, e valga qui ricordare il concetto filosofico che formò oggetto di elaborazione da parte dei primi «speculatori ». Protagora di Abdera, infatti, disse per primo cha «l'uomo è misura di tutte le cose » e che pertanto, se i buoi dovessero immaginarsi i loro dei, e così i cavalli, non esiterebbero a raffigurarli - potendo – in sembianze di buoi i primi e di destrieri i secondi. Lo Scirocchi, quindi, vuole riportare sensazioni tutte proprie, descrivendo quanto il suo spirito vivace e tormentato nella ricerca dell'effetto, sente ed imperiosamente impone.
Tra le opere che restano nella predetta Cappella, ricordiamo, un Cristo sulla croce che è l'incontro maggiormente da ritenersi «ideale» tra la spontanea stesura voluta dall'artista e la resa del misticissimo soggetto. L'espressione del Cristo morente e morto, è un problema sempre vivo: Michelangelo volle il soggetto giovane, per quello ideale di bellezza fisica che sempre cercò realizzare; il genio di Leonardo tentò rispecchiarvi il suo pensiero, vasto a tal punto da superare quegli estremi filosofici impostisi, prima dei quali, considerava assurdo il concludere e realizzare. Luigi Scirocchi vuole, invece, specchiarvi l'umanità dell'espressione, quella sofferenza «di tutti », che ognuno di noi - specie in questo travagliato secolo - ha vissuto. La maschera di una società che ha sofferto fino allo sfinimento in attimi così «vicini alla morte », in momenti di reciproca aggressione per la lotta della vita, in periodi tanto prossimi a dolori e degradazioni. La «umanità» del Cristo dello Scirocchi è una fusione lirica di paziente sopportazione, di dolore pungente, di forza vivificatrice, forza che è fede, l'unica, cioè, atta a far superare le stesse torture della croce.
Nella predetta Chiesa, sull'altare maggiore, resta un'altra opera di Luigi Scirocchi: un bassorilievo in oro ed argento il « Ciborio »; In esso 1'Artista ha voluto sintetizzare la Chiesa o Dio stesso, quale Ente supremo sotto il quale son raccolti i fedeli. «Sinite parvuls venire ad me» è tradotto attraverso un pellicano che si ferisce il petto per dare in cibo le sue carni ai suoi piccini. La simbolica opera mostra quanto l'artista tenga a sminuzzare ogni canovaccio, sfrondando e riducendo ogni barocchismo superato, per restar - d'altra parte – a campeggiar effetti toccanti e convincenti. Questa rappresenta una «necessità per lo Scirocchi che, in fondo, è un semplice, un leale traduttore di quanto il suo fecondo estro continuamente gli detta.
AURELIO T. PRETE
Da il Popolo di Roma anno IV n° 282 pag. 3 3 dicembre 1953
I personaggi delle opere del musicista sono raffigurati come note su un pentagramma musicale. Foggia, 1956.
Relazione illustrativa
Su nuove basi, su nuovi concetti, e su nuove espressioni formali, si indirizza oggi l’arte monumentale, nella quale un concetto di astrazione dalla figura materiale dell’”Uomo” divenuto celebre per il suo genio, deve determinare quelle espressioni di forma, di armonia e di elevazione, che siano snaturate dalla rappresentazione realistica e oggettiva dalla persona come tale e dalle estrinsecazioni delle sue opere in forma retorica care agli artisti del passato. La commemorazione artistica moderna di una celebrità deve operare una sintesi del personaggio e della sua opera in modo, più lirico ed astratto tale da fornire una lettura immediata e complessiva dell’opera e del pensiero dell’uomo immortalato.
Su questi principi è stato immaginato il monumento da erigersi in Foggia al grande maestro Umberto Giordano, la cui figura è stata attentamente considerata ed estrinsecata in quelle che furono le sue preminenti manifestazioni di produzioni di arte.
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E’ infatti noto che il maestro Giordano, la cui fervida fantasia musicale fu messa a servizio di una precisa, calcolata e perfetta sapienza contrappuntistica, ha creato una serie di opere liriche da teatro, nella quale slanci lirici di canto melodioso e strumentazione sinfonica si sono fusi mirabilmente in un organismo armonico ottenendo successi mondiali e meritata fama d’immortalità.
Musica operistica, dunque, musica da “teatro”, nella quale l’azione scenica era logico e preminente complemento alla melodia d’ispirazione. E questa creazione soprattutto teatrale è quella che nell’opera da noi immaginata si è voluta particolarmente mettere in evidenza, creando un monumento formato da spazi e da ambienti che specialmente richiamassero alla mente il palcoscenico per il quale le opere del Maestro furono concepite e rappresentate.
Infatti tutto il complesso si eleva sul piano andante del piazzale di circa 80 cm, in modo da formare un ampio podio rialzato. Data la posizione prescelta dal Comune, al centro del giardino pubblico – che, se pur modesto in estensione, rappresenta una piccola oasi di verde nel pieno centro della città- su questo largo ripiano sopraelevato possono avvenire manifestazioni di vario genere, specialmente a carattere musicale, per cui tutto il complesso del monumento può avere una funzione, un’utilizzazione, una vita, un significato e non restare inutilizzato e dimenticato. Infatti su di esso potranno prender posto complessi orchestrali, bande, cori, ecc. che in determinate occasioni faranno rivivere le immortali musiche del Maestro e comunque allieteranno i cittadini in una degna cornice.
Il complesso monumentale è quindi formato da tre elementi plastici distaccati, ma nello stesso tempo collegati, ciascuno con proprie funzioni e con proprie figurazioni e derivazioni. Infatti sulla sinistra del grande podio è immaginata una parte a quinte variamente inclinate e orientate a formare elementi di spaziati scenici in cui il gioco delle ombre e la originalità delle forme contribuiscono a sostenere e a conchiudere da un lato l’ambiente del complesso monumentale. Sulle quinte sono incise raffigurazioni delle principali scene con i personaggi delle opere più significative del Maestro (Andrea Chenier, Fedora, Siberia, La cena delle beffe, Madame Sangène, il Re), alternate da rappresentazioni di drappeggi e panneggi a rappresentare il sipario – elemento tipico del teatro d’opera – e da qualche elemento di macchinario e di scenotecnica teatrale.
Dal lato opposto si eleva in senso decisamente verticale, un gruppo in bronzo di notevole altezza che domina il piazzale, dal quale attraverso elementi e forme strumentali stilizzate formanti l’orchestra sorge la figura del Maestro a dominarli e a trarne melodie e sinfonie. Ed infatti l’ampio gesto delle braccia e delle mani non è rappresentare quello abituale del direttore d’orchestra – che quasi mai il Maestro diresse le proprie opere – ma è a significare lo sforzo creativo che dagli strumenti trae, eleva e nobilita, attraverso la ridda dei suoni, l’armonia melodica del canto e dell’orchestra. Per le ragioni al principio accennate la figura del Maestro è stata quasi idealizzata e trasfigurata dando soprattutto valore allo slancio delle braccia, alla inclinazione della testa ed alla eleganza della linea, che il vestito da sera accentua col suo carattere di uniforme.
Tra i due gruppi, distanziati, il collegamento è realizzato da un fondale d’ispirazione prettamente musicale riportato su due bassi elementi inclinati e concavi e rappresentato quasi nella espressione grafica delle pagine di uno spartito con delle linee di pentagramma e con simboli e segni musicali, che dallo sparito stesso, con i suoi andamenti ascensionali e alternati delle battute, degli accordi, delle pause e dei tempi, trae un motivo moderno di rappresentazione plastica in cui, le figure umanizzate delle sette note, si alternino e si intreccino sul pentagramma in voli e in movimenti di danza e di riposo, a significare lo slancio lirico della composizione musicale.
Nel complesso monumentale è stato inserito un elemento che riteniamo possa essere validamente accettabile come espressione della musicalità e del dinamismo proprio di una composizione strumentale e lirica: l’acqua. L’acqua non intesa come fontana decorativa o come giuoco di abili spruzzi, ma come musica, che il chioccolio degli zampilli e l’alterno scrosciare degli stramazzi determinano nelle sensazioni auditive e visive, e che sono evidentemente accostabili a quelle di una composizione lirica musicale. E’ previsto pertanto sul fondo del grande podio ed antistante alla composizione plastica del pentagramma, un semplice e stretto bacino d’acqua, dal quale emergono variamente regolati in pressione getti verticali ed una caduta a velo continuo; l’elemento acqua in flusso determinerà pertanto un proprio “accompagnamento musicale” alla composizione ambientale e l’alternarsi dei getti a zampillo davanti alle figure e ai simboli del pentagramma ne favorirà quasi la naturale tendenza al movimento.
In sintesi abbiamo immaginato, attraverso un laborioso sforzo creativo fatto di controllati slanci di fantasia e di maturate considerazioni tecniche, un complesso che renda la precisa sensazione di una “lirica” di una “musicalità” fatta di forme, di linee e di spazi che quella musicalità richiamino alla mente e che, come impostazione, rientri nello spirito di onorare il maestro Giordano attraverso l’ispirazione della sua arte e delle sue opere.
Scultore Architetto
Luigi Scirocchi Giorgio Calza Bini
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Concorso per un monumento al sacrificio dei Fratelli Bandiera e degli altri martiri da erigersi a Cosenza. 1961. Il progetto viene premiato ma non viene eseguito.
L'artista illustra l'opera
IL TEMA
Il tema, proposto dal bando, è uno dei più suggestivi della Storia dell'Indipendenza Italiana.
Il suo fascino deriva dal contrasto tra il purissimo e fiducioso slancio, con cui fu tentata l'impresa, e l'incomprensione che l'accolse; tra la serenità con cui fu accettata la sorte e la durezza della sentenza; tra la sognata marcia liberatrice e il penoso cammino del martirio.
Pertanto mi sono orientato verso una soluzione che non limitasse il fatto alla sua cronaca, ma aderisse al significato, al carattere di tale episodio e ne esaltasse lo spirito; che perciò seguisse nella sistemazione dell'intera zona, un percorso che dapprima richiami la fatalità della marcia e del calvario dei martiri fino alla loro morte; quindi ne elevi il sacrificio nell'aerea - piattaforma con ampia e serena soluzione di spazi e di sculture rievocative; e infine interpreti lo storico diffondersi della loro idea con la vasta sistemazione che scende fino all'ara-museo, ove conservare cimeli e documentazioni.
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LA STRADA
La strada che idealmente ci riporta al drammatico percorso seguito dai Martiri, comincia dalla Strada Nazionale della Sila, ed ha una larghezza media di m 8; un cippo con graffiti e scritte, blocca all’inizio l'attenzione del visitatore.
Un muraglione a grossi pietroni, che segue l'andamento della collina, limita la strada dal lato a monte; dal lato a valle, alcuni massi con diciture creano un'atmosfera rievocativa che prepara l'animo del visitatore, via via che procede, nel clima del sublime sacrificio.
IL COMPLESSO MONUMENTALE
Alla fine della strada, da un piazzale ove possono far sosta le macchine, parte una gradinata che conduce a un vasto spiazzo circolare pavimentato di circa m 60 di diametro; nel punto designato dalla planimetria per l'erezione del monumento, e precisamente nel centro dello spiazzo circolare, sorge un complesso costituito da un'ampia piattaforma, anch'essa circolare del diametro di circa m 26 che poggia su 4 piloni alti m 5
IL SARCOFAGO E LA CRIPTA
Nello spazio tra i quattro piloni è posta un'arca in pietra rossa di semplice fattura che dovrebbe accogliere le spoglie dei Martiri, o assolvere la funzione di sarcofago simbolico.
Si viene così a creare, sotto la piattaforma circolare, una cripta aperta, dell'altezza di m 5, solo limitata dai quattro piloni, che nelle pareti mancanti, ha sfondi verso il bosco, verso la città e la campagna limitrofa e che è resa più suggestiva dalla luce che dall'alto piomba sul sarcofago attraverso una vetrata trasparente di m 2x6 circa.
Due rampe elicoidali, gettate in cemento, a linea lanciata, salgono alla terrazza rotonda ove la scultura rievoca ed esalta il sacrificio.
LA SCULTURA
L'episodio drammatico dell'esecuzione è trattato dalla scultura in modo da non essere limitato alla cronaca del racconto, ma da rivivere attraverso il lirismo creato dai rapporti dei volumi e delle forme, cosicché ogni elemento veristico si disfa nell'emotività della composizione.
E poiché l'episodio, entrando nell'epopea Nazionale, ha perso con gli anni la crudezza del martirio, che è stata superata dai valori ideali del sacrificio, la scultura ne interpreta l'emotività lirica e lo ferma in una serena figurazione.
I passaggi tra masso e masso scolpito, le aperture nel masso stesso, hanno per sfondo la natura circostante e permettono al visitatore un maggior avvicinamento, un ideale contatto con la scultura.
LA PIATTAFORMA
La piattaforma solare aperte da ogni lato sul paesaggio è particolarmente adatta a una serena esaltazione del sacrificio secondo il carattere mediterraneo e si ambienta con gli schemi della locale architettura; la trasparente vetrata che s'apre nella pavimentazione sull'ambiente sottostante ove è il sarcofago, crea una più profonda comunione nello spirito del martirio.
Il concetto che mi ha guidato nel seguire il martirio, la morte, l'esaltazione dei Martiri, prosegue traducendo architettonicamente, col susseguirsi delle ampie balze, la vastità della risonanza ideale che ebbe nel Risorgimento l'esempio dei Fratelli Bandiera.
L'ARA-MUSEO
La sistemazione della zona si completa pertanto con tre ripiani a prato-giardino che si aprono fiancheggiati da scale degradando a valle e che concludono nell'ara-museo; tale sistemazione è intimamente legata al complesso architettonico che è alla sommità ed è atta a valorizzarlo anche dal basso. Le linee divergenti delle scale e dei ripiani sfociano nell'ultimo spiazzo a valle, dove la costruzione a dado del Museo blocca e conclude anche idealmente, fermando nel culto del ricordo la vicenda storica. Così si rivaluta l'antica -ara- già luogo di storiche commemorazioni, da cui, e non solo idealmente, si può risalire e ripercorrere le tappe del sacrificio.
Nell'operare ho anche tenuto conto dei diversi punti di vista dalla strada nazionale e dall'abitato per cui si viene a determinare un facile richiamo turistico.
Concorso per il fastigio del teatro dell'Opera.
Roma 1959
L’opera dello scultore Luigi. Scirocchi raffigura le cinque muse maggiormente significative che presiedono all’Opera Lirica; è evidente che il ritmo compositivo nella sequenza delle figure aderisce al tema lirico - musicale. Il motivo chiaramente teatrale delle maschere è adoperato con spirito nuovo a raccogliere la composizione nello spazio voluto; mentre ciascuna figura resta libera nell'espressione plastica del proprio carattere ideologico: Melpomene la tragedia, Talia la commedia, Erato la lirica, Euterpe la musica pastorale, Tersicore la danza.
L’impostazione delle figure che è sentita con moderna vivacità crea interessanti rapporti di volume e di rilievo e il gruppo staccandosi dalla parete ravviva il fastigio senza interromperlo.
L'opera, di cui la stampa si è ampiamente interessata, è stata inaugurata con l’apertura della nuova stagione lirica romana il 26 dicembre 1959.
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L’ARTISTA ILLUSTRA L’OPERA
Ispirazione delle forme della scultura ed ambientazione
Dalla interpretazione delle linee e dello stile architettonico della facciata, è derivata la sollecitazione iniziale verso un soggetto classico, la concezione di una scandita e semplice sequenza di figure espresse con moderna sensibilità plastica. la necessità di sentire gli elementi plastici staccati dalla parete di fondo, in modo da lasciar scorrere liberamente le linee architettoniche e da prendere vita nella chiarezza libera e inalterata del fastigio. Le figure allusive delle Muse e il ritmo con cui si delineano e con cui nel medesimo tempo compongono tra loro entro lo spazio prescritto, hanno origine e ragione di musicalità aderenti alla destinazione del rilievo.
Significato degli elementi plastici della composizione
Le cinque figure oltre a rappresentare chiaramente le cinque Muse maggiormente significative che presiedono all'opera lirica, richiamano spontaneamente nel loro raggruppamento I'evoluzione storica delle forme drammatiche e musicali che assommano nell'opera lirica moderna e precisamente le forme letterarie della tragedia e della commedia nel gruppo di sinistra e
quelle mimiche e melodiche nel gruppo di destra, tutte volte a concludere e centrare liricamente con i singoli apporti, nella totale composizione plastica
Particolare
Il particolare raffigura la Musa Tersicore (ultima a destra del bozzetto) tenuto presente, soprattutto, il senso lirico e decorativo del movimento che la caratterizza.
Varianti di posizione dello stesso rilievo
Per la realizzazione dell’opera sono proposte due varianti: la prima con due elementi decorativi ai lati delle cinque figure, la seconda con le figure separate in tre gruppi distinti.
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Hotel Hilton, Roma 1963
L'artista presenta l'opera
La composizione ha per soggetto l'apparizione delle Arti nel Bosco del Parnaso. Il soggetto classico è trattato modernamente e tutti gli elementi e gli spunti tradizionali sono rielaborati e resi con sensibilità attuale. Le cinque figure delle Arti (secondo i riferimenti culturali e interpretativi del Rinascimento: letteratura, musica, pittura, scultura, architettura) sono evocate nel mitico bosco e il loro incontro, sfalsato su due piani, si compone in alternanze spaziali di estrema levità, in modo che esse si configurano nell'irreale tra lo scorrere basso delle nuvole e la mobilità chiaroscurale del fogliame.
Tra pause e movimenti i « motivi » di Scirocchi risultano di conseguenza vivi e palpitanti, anche quando mirano a riscattare dal passato miti, favole, leggende o addirittura sembrano proiettarsi fuori dal tempo, specie per quei volti attoniti, assorti, di sapore quasi ieratico...
Questa sorta di accordo delle parti nel tutto determina un « continuum » di rapporti, per cui anche negli apparenti contrasti sussiste sempre una piena convergenza di linee, punti, figure piane e figure solide in un ordine melodico-contrappuntistico di sapore musicale. La realtà diventa favola e viceversa, come per i gruppi «le Arti nel bosco del Parnaso » e « Il sogno » ove la natura si trasfigura in forme umane che si innestano in tronchi dall'albero e questi a loro volta in un arioso dispiegarsi di uccelli.
Concorso per un monumento allo sbarco dei Mille da erigersi a Marsala. Marsala, 1960
GRUPPO DI PROGETTAZIONE
Capo gruppo Scultore Luigi Scirocchi, Arch.Vittorio Ansaldo, Ing. Vinicio Brancaleoni, Arch. Domenico Galli, Arch. Filiberto Sbardella
Abbiamo operato nel senso di progettare un «grande spazio coperto» dove siano narrati gli episodi dello sbarco e dove si venga a creare una serena atmosfera rievocativa, con fondali e inquadrature sui giardini e sul mare e dove la presenza dell'elemento drammatico è costituita dalle due vele bianche eseguite in ferro cemento, lasciato naturale previa martellinatura e sabbiatura.
Con il complesso della «piazza coperta» e con le adiacenze a giardino viene, inoltre, a crearsi un «ambiente» tale da costituire « una parte nuova della città» dove la gente trovi il bisogno e il piacere di andare e di sostare. In tale maniera il monumento può entrare veramente a far parte della città e della sua vita e divenire celebrativo attraverso una sua vitalità funzionale. E anche l'episodio che esso vuol rappresentare e narrare sarà più vicino al cuore dei cittadini.
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RELAZIONE ILLUSTRATIVA
L'idea di erigere un monumento allo « Sbarco dei Mille» offre una occasione agli artisti italiani per affrontare con nuove concezioni un episodio molto suggestivo della nostra storia, data la grande importanza che esso ha avuto nella formazione dell'unità del nostro Paese.
Partendo da questa premessa, ci siamo orientati verso una soluzione che non si rifacesse al concetto tradizionale del monumento celebrativo isolato nella sua monumentistica e staccato dal contesto urbanistico; tale concetto, infatti, anche se risolto con moderni schemi, rivela sempre un intimo «non senso », sia che si esplichi affidando l'effetto suggestivo ad un preziosismo plastico fine a se stesso (figurativo o astratto che sia), sia che si valga di elementi allegorici o simbolici, sia che cerchi di colpire l'attenzione del cittadino con una soluzione « strillata» e quindi esteriore.
Abbiamo perciò mirato ad una progettazione che avesse caratteri di vitale profondità, ideando un complesso a « piazza coperta» che - nuovo centro di vita - divenga unione, materiale e spirituale insieme, tra la via percorsa dai Mille ed il centro storico e civico di Marsala, esplicando cioè una sua funzionalità ideologica senza gonfie trovate, ma con tono di alto decoro adeguato alla grandiosità dell'impresa.
La grandezza e il carattere dello spazio a disposizione, unito per di più alla presenza del mare, ci ha suggerito di porre il mare come elemento costruttivo e parte integrante del monumento stesso.
DESCRIZIONE
Piano di base
La base del complesso è costituita da una pedana che si alza di circa un metro rispetto al piano stradale.
Saliti sulla base, un passaggio ora più alto, ora più basso, guida il cammino tra i blocchi prismatici in cui sono scolpiti gli episodi e sui quali, ad un'altezza di metri 6,50 dal suolo, poggia la copertura dello spessore di un metro internamente cava, e costituita da una struttura reticolata di cemento armato.
Copertura
Questa copertura è, in alcuni punti bucata ad aria passante e in altri, bucata sempre, ma chiusa con vetro-cemento superiormente e lastre di materiale bianco trasparente opaco inferiormente, in modo da permettere il solo passaggio della luce. Queste aperture giocano in corrispondenza di parti a verde o di blocchi scolpiti che così vengono ad essere esaltati ed illuminati.
La scultura
La scultura che vive nel volume del blocco prismatico, richiama lo spirituale incontro tra la Sicilia e i Mille negli episodi dello sbarco, a volte annotando e a volte soffermandosi per concludere con intensità, in modo che il visitatore nel suo itinerario evocativo sia invitato a soste più lunghe o a brevi passaggi, a seconda che la sua attenzione sia bloccata da una figurazione o sollecitata al passaggio da un elemento all'altro.
Le sculture
Il rilievo vuole proporre, richiamare con forza evocatrice più che narrare con determinismo, vuole impegnare la fantasia e il sentimento del visitatore, evitandogli di subire un inventario visivo di personaggi e di fatti; vuole riferirsi alla vitalità popolare dell'episodio senza però immiserirlo ed esaurirlo nella sua limitata realtà, ma lasciando le molteplici figurazioni libere di unirsi in una sintesi ideale nel vasto spazio in cui sorgono.
Bacino e vele
AI centro della copertura un grande vuoto permette il passaggio delle due grandi vele che sorgono dall'acqua del mare portata attraverso un canale al centro del complesso.
Dal livello della pedana si scende infatti per mezzo di scale al piano inferiore (che è al livello del mare) dove l'acqua che penetra attraverso un canale - partendo dalla vicina riva dove avvenne lo sbarco - forma un largo bacino; da esso sorgono quindi due bianche vele che per mezzo di riflettori posti alla loro base sono di notte illuminate dal basso, costituendo così due sciabole di luce che si levano verso il cielo. Il mare è qui elemento essenziale, che partecipa con la sua realtà; e pertanto elemento architettonico per il suo apporto orizzontale che richiede il sorgere delle due vele; elemento emotivo che penetra ed è accolto, suscitando il concetto spirituale di un incontro e di un vincolo fra la città marinara e l'episodio storico dello sbarco.
Ambiente Museo
Attorno al bacino, al suo stesso livello, si apre un ambiente coperto, che viene a trovarsi sotto la piattaforma o pedana e che, con opportuna sistemazione, potrebbe funzionare da museo ove raccogliere dei cimeli, oppure essere limitato da un muro a pietrame nudo con scolpite delle frasi. Questo ambiente si prolunga sulle rive del canale ai lati del quale si aprono i giardini.
Giardini
Si viene così a costituire una passeggiata in giardini posti in riva al mare, venendosi a creare un ambiente estremamente piacevole ove prolungare la permanenza nel nuovo complesso.
Data l'ampiezza dello spazio (a disposizione e da sistemare) pensiamo che una soluzione del genere abbia anche il vantaggio di ristrutturare e qualificare urbanisticamente la zona. Potrebbe infatti l'area limitrofa al di là dei giardini, avere una sistemazione con particolari edifici di tipo pubblico, purché non in contrasto col carattere dell'opera.
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Opera eseguita per conto del Comm. Piero Chiesa Milano e consegnata nel maggio 1966
I due personaggi inseriti a destra nella composizione partecipano per attrazione di affetti familiari all'evento onirico in un ritorno trasognato verso l'infanzia. Sembra che la trama dell'incanto nasca dalle magiche note che un Dio Boschivo, simile a Pan, trae zufolando dalle sue canne, per cui il bosco vive di forme favolose e di avvenimenti irreali. L'intreccio dei rami s'apre in alto concludendo la composizione col volo di fantastiche Foglie-uccelli; tra i rami due bambini anch'essi elementi del bosco vivono il divenire e rinnovarsi perenne della natura che il Dio boschivo presiede. Tutta la composizione è percorsa da un movimento ciclico che ascende, ma che nello stesso tempo ritorna, che porta impetuosamente dove si vola senza peso nel mondo favoloso, ma che riconduce poi alle radici vitali, come eternamente avviene nel giro della vicenda umana.
La visione del mondo fantastico dei bambini si rivela ai nonni in un ritorno trasognato verso l’infanzia, si trovano inseriti anch’essi nel grande gioco suscitato dalla fantasia infantile. Sembra che la trama dell’incanto nasca dalle magiche note che un dio boschivo –simile a Pan- trae dalle sue canne, per cui il bosco vive di forme favolose e di avvenimenti irreali. Quel dio sembra presiedere ai grandi cicli della natura, manifesti nel rigoglioso rinnovarsi della vegetazione come nell’eterno giro della vicenda umana.
L’intreccio dei rami si lancia e s’apre in alto concludendo la composizione col volo di fantastiche foglie-uccelli; gli spazi luminosi si insinuano ovunque come luci del bosco. Tra i rami i due bambini partecipano spontaneamente alla vita del bosco e sono anche essi germogli, o foglie-uccelli; mentre i nonni, usciti dalla realtà quotidiana, sono attratti nel sogno per magia di affetti.
Tutta la composizione è percorsa da un movimento ciclico che ascende, ma nello stesso tempo ritorna, che porta impetuosamente dove si vola senza peso nel favoloso, ma che si riconduce poi alle radici vitali, come eternamente avviene.
Concorso Nazionale opera d'arte per il nuovo padiglione Ospedale S. Camillo. Roma, 1967
L'artista illustra l'opera
Per svolgere la raffigurazione della Passione in due grandi tempi, come richiesto dal bando, ho sviluppato una narrazione ininterrotta, senza cioè i consueti riquadri che separano e isolano le singole "Stazioni". La soluzione continuativa da me proposta, dà alla composizione un respiro più ampio e più fluido, quindi più idoneo a una sequenza episodica di parecchi metri, che in tal modo si snoda secondo un ritmo battuto da necessità plastiche costruttive pur senza venir meno alle rituali esigenze liturgiche.
La componente luminosa delle vetrate entra a far parte dell'andamento compositivo dei volumi e degli spazi lungo tutta l'estesa frase narrativa. Il singolo avvenimento sacro, liberato da ogni inquadratura prefissa, realizza la propria sintesi secondo un movimento plastico concettuale.
Così l'episodio della Crocefissione, (tema del particolare al ve ro), si delimita nella propria atmosfera di sovrumana tragedia, rivissuta con particolare intensità. Pertanto allontanandomi da riferimenti svuotati dalla consuetudine, ho dato voce a nuovi personaggi ed elementi che drammatizzano con forza la scena del martirio inumano in funzione di "coro" irridente; in contrasto alla pagliacciata brutale e urlante, trascende il pathos del silente sacrificio Divino.
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Concorso opere artistiche per il gerontocomio-convalescenziario in Bari-carbonara
L'artista illustra l'opera
IL TEMA
L'ubicazione del centro ospedaliero, tra la collina ed il mare, hanno determinato in me la convinzione che le tre sculture richieste dal Bando, possano maggiormente soddisfare le finalità ospitali dell'opera arricchendo il giardino interno dell'Ospedale. Ho quindi ideato tre elementi di un medesimo tema agreste e marino da inserire tra gli esistenti ulivi, intramezzati da prati erbosi, da rocce e da giochi d'acque.
Le tre figurazioni plastiche di assai chiara comprensione, sono adatte oltre che alla loro precipua funzione decorativa, anche ad una evocazione fantasiosa che inviti gli ospiti del complesso a trascorrere serene ore di riposo all'aperto.
Continua...
Ognuna delle tre sculture ha un proprio carattere: è pastorale quello del musico che suscita fantasie e sogni tra le ombre e le luci dell'uliveto; è mitico quello della nereide che si solleva dal letto delle acque tra massi scogliosi; è edonistico quello della corale apparizione d'una sirena e d'un tritone tra rocce ed elementi marini.
Le tre sculture rievocano volutamente immagini e concetti di comune accezione, pur rinnovandoli modernamente sia nella concezione compositiva che nella elaborazione plastica, mantenendo, comunque, la componente decorativa in stretto rapporto con il contesto ambientale.
Per dar corpo a detta idea, da valere come semplice suggerimento, è stata progettata, sia pure in via di, massima, una sistemazione dell' uliveto che, mirando a conservare quasi integralmente le belle piante esistenti, consentisse tranquille passeggiate tra i serpeggianti ed ombrosi vialetti pavimentati in pietra, e soste al sole sui sedili semicircolari di due piazzole.
Nel baricentro ideale di tutto il complesso ospedaliero, al vertice di un cono visuale aperto verso il viale principale di accesso, sorgerebbe tra due viali una aiuola di forma ellittica: inscritta in questa ellissi è stata immaginata la fontana decorativa, che verrebbe ad assumere in tal modo importanza preminente, accrescendo valore alla intera zona alberata.
L'avvio tematico di tale discorso viene dato dal musico che col suono della fistula suscita sulla superficie delle acque…..l'incantesimo.
Ed ecco sorgere dalle acque la nereide attratta dalle sue note, ed escono e vivono nell'aria pervasa di magia musicale gli animali dei fondi marini. In ascolto si leva una sirena che, dai misteri del fondo si rivela in piena luce al tritone guizzante ……. Attorno è un bacino tranquillo che il sogno accoglie ed espande.
Il getto d'acqua che sprizza di lato ed alcune cascatelle che precipitano dalla lastra di fondo soddisfano la richiesta del liquido elemento espressa dalla tematica figurativa.
L'elemento di fondo s'inserisce nella vasca rettangolare a mo' di quinta ed assume il valore di moderno volume plastico che si compone, bilanciandoli, con gli altri valori figurativi.
Progetto per concorso per un'opera d'arte per l'ospedale civile di S. Chiara. Trento - 1968
L'artista illustra l'opera
L'ubicazione della fontana, indicata dal bando di concorso, in posizione centrale al piazzale d'ingresso dell'Ospedale, ha richiesto un attento esame sul posto del contesto plani-volumetrico esistente e delle sue caratteristiche stereometriche.
A fronte della rigida simmetria dei corpi di fabbrica che fanno da fondale al piazzale, ci é sembrato opportuno puntualizzarne il baricentro con un complesso artistico-decorativo di pura forma geometrica, ma di immediata accezione, tale, cioè, da poter esprimere di colpo tutto il suo significato, nella tematica e nella forma, agli utenti del piazzale, certamente frettolosi e tutt'altro che disposti a pause contemplative.
Continua...
Tale postulato programmatico ha assunto, nella elaborazione del nostro progetto, un potere decisionale preminente, che ci ha sempre guidato man mano che l'idea-base prendeva corpo e si estrinsecava definitivamente.
Due forme ellittiche concentriche, con diametri diversi ma in costante reciproco rapporto, rappresentano lo schema sostanziale dell'opera da noi progettata e mirano a condensare la visione geometrica d'impostazione in modo chiaro e conciso, mantenendone inalterata la sua formale purezza anche nell'evolutivo sviluppo tridimensionale.
Sulla pista elicoidale d'inviluppo al bacino d'acqua, di larghezza ed elevazione gradualmente crescenti, a conclusione della sua dinamica ascesa, si erge il gruppo scultoreo in bronzo che, pur con diverso linguaggio espressivo, pare raccogliere le linee-forza della fascia-pedana per proiettarle ancora oltre, verso lo svettante getto d'acqua verticale, cui tende, in armonica simbiosi tra tematica ed espressione formale, tutta la composizione.
E' evidente, cioè, che il gruppo scultoreo non é un casuale ammennicolo decorativo, ma l'acme naturale e spontaneo dell'evento plastico da noi immaginato. E' importante, ci sembra, che nel diorama architettonico del piazzale, così coerente e stringato, l'episodio centrale non si frantumi in accenti frammentari e dispersivi.
Pertanto, l'unico elemento scultoreo della fontana progettata, sarà caratterizzato da una essenzialità, espressiva al limite dell’astrazione, di coerente significato e di pregnante plasticismo in ogni sua parte.
Siamo a Trento, città montanara, tra le Alpi, non lontana da vette altissime, che costituiscono l'habitat naturale dell' " Aquila chrysaetos ", l'aquila reale, cioè, ammirevole nei suoi fieri atteggiamenti, e ci piace pensare che il gruppo di aquilotti da noi raffigurato, protesi verso il getto d'acqua verticale, possa evocare facilmente la regione trentina ed i suoi abitanti, accorrenti fiduciosi, questi, al loro nuovo grande Ospedale per ritemprarsi e risorgere a nuova vita.
Tema semplice e, ci sembra del tutto pertinente alla tipologia dell’edificio di cui la fontana sarà il principale ornamento.
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Il concorso è stato annullato e successivamente ribandito. 1969
L’artista descrive l’opera, da realizzarsi in bronzo, destinata alla stazione di Nervi.
La stele di forma irregolare e angolata su ogni faccia risulta idonea ad un ambiente ove, essendo gli ingressi posti su più lati, è necessario risolvere la sistemazione dell’elemento scultoreo in modo che risponda al movimento variato del traffico dei passeggeri.
LATO 1
La composizione è staccata da terra, e appare come una visione che si eleva sul mare: da onde irreali esce la sagoma di una nave puntata verso le prime ardue esplorazioni.
In alto, le vele che hanno sapore di elementi di sogno, evocano la visione delle nuove imprese in cui si è trasformato lo spirito avventuroso di questa gente ed emerge, fra l’ossatura delle transenne e dei tralicci, il movimento alterno dei lavoratori siderurgici. Di lato tutta la composizione è contenuta e guidata dalla linea dinamica delle sovrastrutture metalliche formanti l’ossatura angolare di tutto l’elemento scultoreo.
LATO 2
L’immagine interrotta di una prua, sulle linee tranquille delle onde, tra sagome di altre navi e scorci di mura, crea l'ambiente del porto. Nell'incavo dello scafo una catena di pescatori che ritira le reti ci dice l'aderenza sempre attuale di questa gente col mare da cui tutto deriva. In alto le vele riempiono il cielo del porto sul quale assommano in sintesi gli scorci medioevali e le moderne conquiste industriali.
LATO 3
Di fianco alle torri metalliche, si levano lungo le antiche mura, sagome di figure appena sognate, che escono da quel tempo della storia civica in cui il popolo si raccoglieva attorno al vescovo nell’'affermazione delle prime rivendicazioni comunali e in cui si formò il carattere autonomo, battagliero e ribelle della Città. In alto a difesa di tutte le conquiste, ancora la voce della “campanassa” tra mura antiche e nuove strutture.
Il concorso è stato annullato e successivamente ribandito. Questa versione del 1970 è quella che è stata poi realizzata.
Gli Addii
La composizione plastica, si snoda con andamento curvilineo ed offre a chi transita un illusorio moto delle figure col variare dei punti di vista. L'evento plastico è concepito con significato tematico coerente al substrato umano delle masse che si avvicendano in una grande stazione; l'emotività che il traffico disperde assomma in sintesi nei disparati movimenti delle sculture. Il lirismo dinamico di cui è carica l'opera è in perfetta sintonia con l'atmosfera che si vive sul luogo, tra arrivi e partenze, tra incontri e distacchi; stati d'animo in transito a contrasto con la ferrea realtà meccanica e funzionale che la composizione rende inserendo, tra il moto delle figure, rigidi elementi di ferro. In quest'opera l'artista con trascendenza ideativa lascia insolute le forme umane, in un'evocazione fuggevole del reale e per trasposizione ideale raffigura in esse la folla anonima che disfa lo propria identità nel via-vai frettoloso del traffico.
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L’artista illustra l’opera
Ho immaginato, nel contesto arboreo della stazione, un evento plastico a forte caratterizzazione, puntualizzato da un’idea base di facile presa sulla frettolosa attenzione dei visitatori, e articolato in due episodi, dinamici nella forma e nel contenuto.
Il significato tematico insito nella contrapposizione dei due andamenti compositivi, collegati nello stesso tempo tra loro da una rispondenza espressiva delle sculture, è coerente con il substrato umano della vita quotidiana di una movimentata stazione ferroviaria dove c'è sempre il contrasto palese, e nel contempo l'incontro, tra chi resta e chi parte, chi attende e chi arriva.
Un'eguale rispondenza è tra l'atmosfera che si vive nel luogo e le figurazioni plastiche, alle quali viene trasferito il lirismo dinamico di cui essa è satura, fatto di distacchi e d'incontri di stati d'animo in transito, a contrasto con la ferrea realtà meccanica funzionante.
Pertanto il sintetismo plastico delle sculture carico di sensibilità è l'espressione di tale mondo rievocato idealmente.
Con tutta evidenza quindi, l'assunto tematico e l'espressione plastica, ben godibile nel particolare, si fondono con piena validità sul piano estetico e decorativo.
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Bologna, 1971. Scultore: Luigi Scirocchi Architetto: Sergio Mezzina
Il motivo dominante del complesso plastico è costituito da una stele in cemento armato rivestita in lastre di alluminio color bronzo, alta e svettante sormontata da un gruppo scultoreo in bronzo e inserita su un’aiuola di forma quadrata di m 10 di lato appositamente creata.
Questa idea base, così schematicamente enunciata nella sua realizzazione pIastico-architettonica, è stata completata con la creazione di un motivo orizzontale in armonico contrappunto alla stele ed al suo accentuato verticalismo. La sequenza infatti dei tre bacini circolari a livelli sfalsati, caratterizzati da tre getti d'acqua al centro degli stessi, contrapposta alla rigida stereometria della stele, costituisce una vivace piattaforma articolata, cui, la mutevolezza dei giochi d'acqua assicurerà quel tenue dinamismo visivo, prerogativa, da sempre, di ogni fontana monumentale.
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Il significato tematico della composizione scultorea vera propria, di chiara comprensione anche se tradotto con un linguaggio plastico attuale, è coerente alle finalità del complesso ospedaliero destinato ad ospitarla; esso pone al vertice il positivo sforzo della difesa dell’uomo contro le subdole forze del male sempre in agguato.
E' sembrato necessario in base al contesto ambientale entro il quale sarà inserita la composizione, esaltare al massimo questo significato, assegnando alla stele un'altezza adeguata sia alla sequenza dei tre bacini d'acqua che al fondale architettonico dei corpi di fabbrica dell'Ospedale contro il quale i visitatori la vedranno proiettata da ogni punto visivo dei p1azzali interni ed esterni.
Tale fondale di imponente altezza e la vastità del piazzale, hanno escluso a priori ogni soluzione limitata ad uno svolgimento orizzontale che risulterebbe soffocata dagli avancorpi di collegamento.
Opera premiata, 1972.
L'artista illustra l'opera
Ferma restando la mia individualità espressiva, ho interpretato il tema del Bando con un'opera che si accorda alla natura del luogo e si inserisce, con moderna libertà di concezione, nella particolare sistemazione ambientale e strutturale del Centro. La scultura infatti richiede, per elevarsi con i suoi elementi arborei, il prato o la zolla e sente la necessità che la piena luce invada i vasti spazi in cui vivono figurazioni idonee alla gioiosità del luogo. Inoltre, in armonia con la movimentata planimetria del complesso, le linee costruttive compongono fra loro in modo diverso secondo i vari punti di vista, apportando variazioni di movimento a spazi e volumi.
Le possibilità dialettiche che arte e ambiente manifestano agendo sull'acuta sensibilità dei bambini nel facilitare e stimolare la loro ripresa fisica, come nel formare il loro carattere, mi ha suggerito un tema le cui figurazioni in movimento, impegnate in un gioco che è anche sforzo d'ascesa, possano, sollecitando lo spirito imitativo dei fanciulli, essere per loro d'incentivo nei tentativi per raggiungere la normalità fisica; un tema che per la poesia del contenuto, seduca soprattutto la loro fantasia, stimolando gioiosamente l'anelito di libere conquiste individuali.
Continua...
Tematica
Le possibilità dialettiche che arte e ambiente manifestano agendo sull'acuta sensibilità dei bambini con handicap, nel facilitare e stimolare la loro ripresa fisica, come nel formare il loro carattere, mi ha suggerito un tema le cui figurazioni in movimento, impegnate in un gioco che è anche sforzo d'ascesa, possano, sollecitando lo spirito imitativo dei fanciulli, essere per loro d'incentivo nei tentativi per raggiungere la normalità fisica; un tema che per la poesia del contenuto, seduca soprattutto la loro fantasia, stimolando gioiosamente l'anelito di libere conquiste individuali.
Così, tra gli elementi laterali che delimitano e guidano la composizione ascendente, le figure dei due fanciulli vivono, come in un gioco felice, il sogno del volo che l'infanzia tutta persegue con la certezza di poter afferrare l'ala sfuggente per farsi trascinare più in alto; e tutta l'azione resta fantasticamente sospesa nella meravigliosa possibilità di conquista. In tal modo l'opera assume il valore di realtà costruttiva, operante verso uno sforzo e un superamento, e palpita del medesimo impulso che anima tutta l'Opera benefica. Non ho avuto quindi bisogno di ricorrere a sterili riferimenti allegorici o a deprimenti immagini per interpretare in modo figurativo le finalità del Centro: la chiara composizione che porta in alto il cuore di due bambini, verso la libertà del volo, rende il mondo stesso del Nido.
L'opera seduce indubbiamente l'immaginazione del piccolo degente; indubbiamente le figure dei due fanciulli lo invitano a farsi partecipe della loro gioiosa intesa per tentare l'impresa ardita che lo affascina; lo chiamano dalla luminosità aerea perché egli per miracolo di fantasia vi si immetta, libero del suo male, apportando nel gioco la sua personalità.
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L'artista illustra l'opera
Il tema plastico è stato indirizzato verso l'incontro con gli antichi valori, della storia locale e attuato col moderno apporto di una sensibilità artistica capace di trovare un modo di contatto e di penetrazione col passato. In tal modo l'opera artistica non è rimasta un'espressione a se stante, ma si è inserita come partecipe nel diorama architettonico dello spazio assegnatole.
Lo schema della composizione si articola sostanzialmente nei tre elementi in bronzo, a cadenza geometrica con alterni e dinamici ritmi di curve-pausa e di angolazioni attorno all'immobile verticalismo dell'asta che, per un contrasto di tensioni, viene a far parte vitale del gruppo e a completarlo, come richiesto dal bando . Al centro di ciascun elemento si isola uno specchio concavo con figurazioni a rilievo su fondo traforato, decisamente contrastante con i piani esterni levigatissimi.
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I tre elementi e l'asta poggiano su una piattaforma in sampietrini do porfido anch'essa parte dell'insieme per la sua forma circolare che raccoglie le linee di forza dei tre elementi in bronzo per esaltarle e liberarle verso lo svettamento dell'asta.
L'angolazione di tali elementi sulla base circolare rende la composizione godibile da ogni lato e in qualunque senso si snodi il traffico dei passeggeri. Va notato inoltre che la composizione per la sua forma quadrangolare e il suo ingombro volumetrico s'inquadra nel ritmo del colonnato della pensilina di accesso all’atrio della stazione, in chiara rispondenza plastico-architettonica.
Le figurazioni, infine, racchiuse nelle curve che le isolano dalla tensione esterna e ne condensano il significato tematico, acquistano un'irreale presenza evocativa sui piani di fondo traforati e un particolare dinamismo, dovuto alla mobilità delle luci che diversamente li attraversano secondo il variare dei punti di vista.
Esse completano lo svolgimento dell'idea-base verso l'incontro col passato storico della città, per mezzo di tre episodi: l'esaltazione delle vittoriose forze primigenie, creatrici di eroi e cavalli mitici; la personificazione e il culto del fiume, maschio generatore; la deificazione della donna e della natura nella "Kore” madre di messi. Episodi tutt' altro che enigmatici, il cui signi-ficato profondo, nascosto alle radici dell'umanità di ogni tempo e sempre vitale, affiora nell'emotività dei rapporti plastici.
La chiara discorsività di tali figurazioni ha facile presa sulla frettolosa attenzione dei passanti che viene richiamata dalle accentranti curve dei tondi concavi, nei quali il dinamismo luminoso dei rilievi si determina e varia secondo i rapidi spostamenti degli osservatori in transito.
Si intitola “Mito e lavoro”, vi è raffigurato anche Teoderico e fu realizzato nel 1959 dallo scultore romano Luigi Scirocchi
La legge 29 luglio 1949 n. 717 prevede che il due per cento del costo sostenuto per la costruzione di ogni nuovo edificio pubblico sia destinato ad opere d’arte di abbellimento (per importi rilevanti, la percentuale si riduce, fino allo 0,5 per cento). Vengono banditi a tale scopo appositi concorsi, dando indicazioni di massima sul significato che l’opera deve rappresentare e che deve avere un legame col contesto in cui sarà inserita. A garanzia di una buona integrazione tra l’architettura e l’opera d’arte, il progettista dell’edificio fa parte della speciale commissione chiamata a decidere sull’assegnazione dell’incarico. Tale norma è attualmente quasi sempre disattesa, ma non era così negli anni Cinquanta e Sessanta, con una ricaduta positiva sugli artisti, che avevano così la possibilità di veder realizzate le loro opere e quindi di guadagnare. Ha permesso inoltre di inserire opere d’arte di pregio in ambienti frequentati dal pubblico, ma nel contempo ha fatto collocare sculture, mosaici e quadri “isolati”, rendendoli quindi - a volte - poco conosciuti.
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Il bassorilievo dell’I.N.P.S. di Ravenna
Nella parete laterale dell’ingresso alla sede provinciale I.N.P.S. di Ravenna è murato un grande bassorilievo marmoreo. Misura cm 317 x 207 e ha uno spessore di cm 13; è realizzato in marmo bianco di Carrara ed è firmato sul fianco destro, in basso, «Scirocchi». L’autore è infatti lo scultore romano Luigi (Gino) Scirocchi, il quale realizzò tale opera nel 1959, quando si stava completando la nuova sede ravennate dell’ente previdenziale. L’autore così descrive la sua opera: «la visione sognata della Ravenna bizantina svanisce nel fondo, di contro agli emergenti volumi delle strutture moderne del lavoro». L’edificio venne inaugurato domenica 7 febbraio 1960 dal ministro del Lavoro e della Previdenza sociale del 2° Governo Segni, il ravennate Benigno Zaccagnini.
“Mito e lavoro”
Il titolo dell’imponente scultura - Mito e lavoro - ne riassume il contenuto. Il “mito” è quello di Teoderico e dello straordinario patrimonio storico ed artistico di Ravenna, già capitale dell’Impero romano d’Occidente (dal 402 al 476), poi del Regno ostrogoto (dal 493 al 526) e quindi dell’Esarcato bizantino (dal 540 al 751). Per rappresentarlo, lo scultore ha scelto alcuni dei monumenti cittadini più significativi e ha preso spunto dagli antichi mosaici di cui Ravenna è ricca. Ha riprodotto tre figure prese dal mosaico del Corteo delle Vergini della navata centrale di Sant’Apollinare Nuovo ed ha raffigurato una serie di monumenti ravennati.
A rappresentare il “lavoro”, Scirocchi ha scelto un intreccio di ciminiere, impianti chimici, ponteggi e tralicci, collocando in primo piano due operai che scaricano a fatica delle merci da un’imbarcazione, mentre un terzo lavora su un’impalcatura.
Il ritratto di Teoderico
Ispirandosi al famoso pannello musivo di San Vitale con Giustiniano e il suo seguito, lo scultore romano ha ritratto Teoderico il quale, dopo aver sconfitto Odoacre, fu Rex Italiae per 33 anni. Durante il suo regno Ravenna visse un periodo di sviluppo, col ripristino dell’acquedotto e degli antichi monumenti e la costruzione di nuove chiese e ricchi palazzi.
I ritratti del re goto sono pochissimi e Scirocchi lavorò di fantasia, forse attingendo alla miniatura contenuta nel Codice Leidense delle Variae di Cassiodoro o alla medaglia d’oro - ø mm 33 - conservata dal Museo Nazionale romano (in cui ha però fattezze completamente diverse: volto paffuto e sbarbato e capigliatura fluente).
Lo scultore ha raffigurato Teoderico con le insegne regali (la corona e lo scettro), affiancato da un dignitario e da un soldato che porta uno scudo con l’aquila.
Il pannello culmina con un volo d’uccelli tra gli alberi; sempre in alto, a sinistra, è scolpita una scena con un cavallo al galoppo; è forse un riferimento al mito della morte di Teoderico (cantata anche da Carducci: La leggenda di Teodorico in Rime nuove, 1887). Il vecchio re sarebbe andato a caccia di una cerva dalle corna d’oro, ma il suo nero destriero (il Diavolo) avrebbe iniziato una corsa forsennata, precipitando infine nel cratere dello Stromboli col cavaliere in groppa. L’individuazione del personaggio è resa possibile dagli appunti dell’artista, conservati dal figlio Augusto, che fanno riferimento alla «vita di Teodorico».
Nel 1968 Scirocchi partecipò al concorso per la decorazione della nuova sede provinciale I.N.P.S. di Bologna, ma fu un altro artista ad aggiudicarsi tale commessa.
Opere di Scirocchi a Roma
Luigi Scirocchi era nato il 21 agosto 1905 a Roma, dove è morto il 20 novembre 1989. Ha sempre avuto il suo studio nella capitale, salvo un periodo giovanile in cui soggiornò a Parigi e brevi assenze quando andava a scolpire a Carrara.
Nella cappella dell’Auditorium della Conciliazione si trovano varie sue opere: un grande crocifisso in bronzo e il tabernacolo (1949).
Per i due edifici di testata di via della Conciliazione, egli realizzò le due semplici ma originali fontane alla base e scolpì nel travertino i grandi stemmi di Pio XII e del Comune di Roma, posti in vetta (1949).
La sua opera più conosciuta (e probabilmente la più bella) è il fregio in bronzo che si trova sulla facciata del Teatro dell’Opera (1959). Sono cinque leggiadre figure, che misurano complessivamente m 2,5 x 5, e rappresentano - in un insieme assai armonico - le muse attinenti al teatro: Melpomene, Talia, Tersicore, Polimnia e Calliope.
Un’altra bella opera “romana” di Scirocchi è un gruppo di figure in bronzo per la fontana Le arti nel bosco del Parnaso (1963), che si trova a Monte Mario, nel piazzale dell’hotel Hilton.
Una sua grande scultura in bronzo di ben cinque metri - il Gesù “maestro” (1965) - è in cima alla facciata dell’Università Pontificia Salesiana (quartiere Nuovo Salario).
Altre opere in giro per l’Italia
Scirocchi vinse - nel 1945 - il concorso per un’opera da collocare presso la sede I.N.A.I.L. di Torino. Si tratta di due grandi stele in travertino, intitolate Il Lavoro e raffiguranti ad altorilievo diverse attività dell’uomo, come l’edilizia, i trasporti, l’officina meccanica, il commercio, l’allevamento, la pesca e l’agricoltura. Sono suoi la Via Crucis e l’altare (col relativo corredo) nella cappella del Seminario di Foggia (1961).
Si costruì sull’Aspromonte - nel 1965 - il cosiddetto Mausoleo di Garibaldi. Sorge nel bosco tra Sant’Eufemia e Gambarie, nel luogo in cui l’Eroe dei due mondi venne ferito dai piemontesi il 29 agosto del 1862. Per tale edificio, Scirocchi preparò il grande bassorilievo in bronzo della facciata, che raffigura il generale in mezzo alla mischia, intento a cercare di fermare il combattimento tra i suoi volontari e i bersaglieri italiani.
Nel 1968 lo scultore romano progettò un artistico cancello in ferro e bronzo per il carcere di Trani. Nello stesso anno si aggiudicò anche la costruzione di una grande cancellata - sempre in bronzo e ferro battuto - nel carcere di Foggia. Sempre nel ’68, egli creò, per il giardino dell’ospedale Di Venere - a Carbonara, presso Bari - un gruppo di tre sculture destinate a una fontana. Nel 1970 vinse il concorso per opere artistiche da collocare nel penitenziario di Potenza. Sempre in tale anno, egli realizzò, due fontane monumentali (Arrivi e Partenze) per la stazione di Savona-Mongrifone (progettata da Pier Luigi Nervi). Per la facciata della vicina stazione ferroviaria di Albisola, modellò l’anno dopo un grande pannello in ceramica policroma.
Commissioni private e all’estero
Nel 1958 vennero commissionati a Scirocchi il pulpito e due acquasantiere, da collocare a Manila (Filippine) nella cattedrale di Nostra Signora dell’Immacolata Concezione, ripristinata dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale. Le acquasantiere ebbero molto successo e loro immagini furono pubblicate da parecchie riviste religiose. Si tratta di una coppia di angeli, che tengono la veste drappeggiata in modo da contenervi l’acqua benedetta.
Nel 1960 lo scultore creò un gruppo di quattro Angeli musicanti, in bronzo, per la tomba Diurni, nel cimitero di Anagni.
L’anno dopo egli decorò con un pannello in bronzo, raffigurante il Cristo morto (con angeli piangenti) la tomba della famiglia Urciuoli a Potenza. Per l’ing. Fedele Cova di Borgomanero, che aveva curato il progetto generale dell’Autostrada del Sole, plasmò nel 1978 un grande pannello in bronzo per la tomba di famiglia. Oltre a un crocifisso, vi sono raffigurati i principali monumenti delle maggiori città toccate dalla nuova arteria: Milano, Bologna, Firenze, Roma e Napoli e poi gallerie, svincoli, viadotti e corsie autostradali.
di Enrico Baldini. Articolo pubblicato sulla rivista “Il Romagnolo” n° 120 gennaio 2015.
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Trieste. Progettisti: Luigi Scirocchi (scultore); Sergio Mezzina (architetto)
L'ubicazione di quest'opera d'arte, così come indicata nel bando di concorso, cioè sulla parete di fondo dell'Atrio d'ingresso del nuovo Istituto Tecnico Industriale "A.Volta" di Trieste, con antistante Bancone - bidello, nasconde, a nostro avviso, una sottile insidia di impostazione decorativa, che, se trascurata, sarebbe di grave pregiudizio per la giusta rispondenza dell'Opera alla funzionalità dell’ambiente ed al suo aspetto d'insieme. E' del tutto evidente, cioè, che il complesso Parete-Bancone non dovrà assumere la configurazione di un fondale solenne e retorico, che, se pienamente giustificato in un salone assembleare, in un'Aula Magna o in altro ambiente destinato a riunioni più o meno celebrative, diventerebbe del tutto anacronistico e falso qui, in quest'Atrio d'ingresso, di transito cioè, con un bancone che, anche se di notevoli dimensioni,servirà unicamente alle esigenze funzionali di un semplice bidello.
Ciò premesso, diciamo subito che il fondale da noi progettato mira pur sempre a nobilitare la parete di fondo di questo vasto ambiente; ma rifuggendo accuratamente da un linguaggio altisonante, più o meno ricco di accenti monumentali o di strombazzature simbolistiche.
La nostra composizione risulta chiaramente suddivisa in due zone longitudinali, diversamente caratterizzate, anche se in armonico contrasto: a) la Zona basamentale, che involucra la parte eminentemente funzionale della parte costituita dalle nicchie dei radiatori e dal bancone ~ bidello; b) la Zona soprastante,ove la presenza della cassetta antincendio è di trascurabile entità rispetto ano spazio residuo. Pertanto,mentre per la Zona basamentale l'effetto decorativo è affidato quasi unicamente alla nobiltà della materia impiegata (bronzo modellato), nella Zona alta abbiamo creato un pannello decorativo fortemente chiaroscurato, ma di semplicissima iconografia, interamente articolato sulla ripetizione di elementi lineari di differente, altezza e spessore,chiaramente ispirati ad uno degli elementi base della moderna industria,cioè i NORMAL PROFILI di acciaio del tipo a C.
Risulta evidente,dal bozzetto, l'idea di lasciar trasparire anche sulla parete di fondo la bella tonalità del marmo REPEN del rivestimento che non viene soffocato dall'intervento scultoreo sovrapposto ma, al contrario, predisponendo una illuminazione artificiale indiretta sul dorso dei vari profilati, valorizzato al massimo. Riteniamo che il bozzetto da noi approntato, con l'impiego di materiali il più possibile simili per tonalità di colore, al marmo del rivestimento, al bronzo dei profilati e delle lamiere, riproduca con sufficiente fedeltà i nostri intenti compositivi e decorativi.
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Luigi Scirocchi
a.scirocchi@libero.it
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